Intervista esclusiva a Benny Carbone:
Intervista esclusiva a Benny Carbone:

Intervista esclusiva a Benny Carbone: “Italia all’anno zero, bisogna ripartire dalla tecnica. Il mio più grande rimpianto? Si chiama Inter!”

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Si parla ancora moltissimo del fallimento della nazionale di Ventura e per ora sono arrivate le dimissioni di CT e presidente di federazione. Tu che idea ti sei fatto? Pensi siano un po’ dei capri espiatori?

Mi aggiungo anche io a quello che hanno detto tanti altri, è stato un fallimento totale su vari livelli: sportivo, manageriale e anche sociale. Il danno è stato enorme, siamo di fronte all’anno zero e dobbiamo ripartire. Dare la colpa a Ventura e Tavecchio non sarebbe solo riduttivo  ma anche peggio, perché ci porterebbe lontano dal cuore del problema.
Io lo dico da tempo, sono almeno 10-15 anni che abbiamo smesso di lavorare bene a livello giovanile. E così diventa molto difficile che vengano fuori i nuovi Baggio e Del Piero, piuttosto che i nuovi Cannavaro o Nesta. Si pensa più alle furbate, a naturalizzare questo o quello, piuttosto che a costruire seriamente.

Sarà allora anche una questione di fondamentali? Si è forse pensato troppo – o troppo presto – alla tattica a discapito della tecnica e del divertimento?

È proprio quello che intendevo, e sono anni che mi batto per questo. Non riesco a capacitarmi del fatto che nei settori giovanili si lavori cosi tanto su tattica e collettivo, quando servirebbero tecnica di base, postura, palleggi, stop, accattare l’uomo eccetera. In senso lato manca il lavoro sul singolo, sul ragazzo che dovrà diventare calciatore ma anche uomo.

E non servono allenatori ma istruttori, perché con i giovani quello devi fare: istruire. I ragazzi sono da seguire singolarmente, va lasciato loro del tempo per crescere. A un giocatore devi dare almeno un biennio per capire se può diventare professionista. Invece da noi si inseguono i risultati, si vuole vincere questo o quel torneo, si cercano i più pronti e ciò significa basarsi troppo sulla fisicità. Sembra pazzesco ma oggi puoi venire scartato perché sei più basso di 1,70.
Così ci si riempie di gente prestante che però ha lacune tecniche di base. E da adulti, se non hai la qualità, non vai da nessuna parte.
Come ho detto sono scelte disastrose, che infatti alla fine hanno dato risultati disastrosi.

Cosa pensi di chi vorrebbe vedere voi, ex campioni e gente che ha fatto divertire le platee per anni, prendere in mano la federazione e le scelte strategiche per il futuro del calcio italiano?

Sono d’accordissimo, la FIGC deve essere portata avanti da questo tipo di qualità tecnica e umana. Abbiamo un patrimonio enorme, leggo che si parla ancora di un allenatore ma io mi chiedo: chi ci potrebbe mai essere meglio di un Fabio Cannavaro?

Molti si dicono convinti che il problema del calcio italiano siano i troppi stranieri. Ma altri paesi avanzati hanno percentuali anche maggiori, e comunque sia al tempo della vittoria ai mondiali del 2006 che a quello della finale a Euro 2012 c’era più o meno lo stesso numero di stranieri. Cosa ne pensi?

Lo straniero che ti permette di alzare la qualità del campionato è un valore, perché crea un circuito virtuoso che tende a portare sempre più i migliori in Italia. Il problema è quando arriva gente senza qualità, o che cammina in campo. Poi c’è anche il problema delle giovanili, e questo si ricollega con il discorso che facevo prima. Spesso i ragazzi esteri sono più pronti fisicamente dei coetanei italiani, così le squadre giovanili si imbottiscono di stranieri e il problema diventa ancora più grosso. Anche lì se ne prendi 1-2 su 11 è ok, ma io vedo grosse squadre schierare 8-9 stranieri e non va bene.

  • Benny segna il suo penultimo gol in Serie A, contro la Juve. Era il 18 aprile 2004

Sta di fatto che una volta producevamo talenti con continuità e ci si poteva permettere persino di tenere gente come te o Mancini fuori dalla nazionale. E’ opinione comune che diversi giocatori di oggi, nella Serie A di 20 anni fa non avrebbero neanche messo piede. Cosa pensi?

La qualità si è abbassata di brutto e per capirlo basta guardare alla nazionale. Fino a 8-10 anni fa, scorrevi la formazione dell’Italia e ti venivano i brividi. Oggi, con tutto il rispetto, le sensazioni sono molto diverse. Se si continua a lavorare male sui giovani, ad aggirare le leggi e sfruttare le pieghe dei regolamenti, le cose non cambieranno.

Una volta a livello giovanile eravamo una potenza, con 5 vittorie su 7 europei disputati tra il 1992 e il 2004. In una c’eri anche tu, tra i protagonisti. Cosa pensi che manchi alle under italiane di oggi?

Attenzione, perchè sia la nazionale di Mangia che quella di Di Biagio erano fortissime, ma sono state anche sfortunate. Il problema è un altro: i pochi giovani che ci sono, abbiamo paura di farli giocare! Guarda a Belgio, Inghilterra, Olanda: lì giocano dei ’96 e ’97 che da noi non trovano spazio perchè abbiamo paura.
Se guardi le formazioni del campionato belga, ci trovi un numero impressionante di ragazzi dal ’95 in su, tantissimi. Da noi, invece, si ha paura di bruciarli…

  • Europeo under-21 1994: Italia vincitrice e Benny al centro con la coppa in mano. Con lui Cannavaro, Muzzi, Panucci e molti altri futuri campioni

Che ricordi hai di quella vittoria con golden gol nel 1994?

Spettacolare! Un anno difficile da dimenticare, era stata la mia consacrazione in A con Mondonico e Silenzi. E poi vinsi un europeo da titolare insieme a Vieri, Panucci, Muzzi, Inzaghi, Cannavaro… Ah, Fabio aveva 20 anni e giocava titolare in serie A, per dire.

Ti pesa un po’ il fatto di non aver avuto molte chance nella nazionale maggiore?

La verità è che avevo davanti Baggio, Mancini e Zola, e che sono venuto fuori nel momento migliore di questi tre tipi… Poi il resto delle possibilità me lo sono giocato andando all’estero.

  • Carbone abbraccia Andrea Silenzi, che proprio grazie a Benny segnò tantissimi gol nel Torino 1993-94

Una volta andare a giocare all’estero significava diventare molto meno visibili per la nazionale. Oggi pensi che le cose siano cambiate?

Ai miei tempi sì, per esempio anche Ravanelli si giocò la nazionale quando venne in Inghilterra. E per diversi altri non fu semplice. Con la comunicazione globale oggi è tutto diverso, per fortuna.

Quale è la scelta migliore che pensi di avere fatto da calciatore, e quale quella che – se potessi – non rifaresti? Azzardo: aver lasciato Napoli troppo presto è qualcosa di cui ti sei pentito?

La scelta che non rifarei è andare via dall’Inter. Era il primo anno di Moratti e di lì a poco avrebbero iniziato a comprare gente forte. Io non giocavo nella posizione che volevo. Avrei dovuto avere un attimo di pazienza, ragionare e forse con Simoni (arrivato l’anno dopo) mi sarei trovato bene.

L’anno più bello credo sia stato quello di Napoli. Venivo da quell’anno al Torino con Mondonico e Silenzi che era stata la mia consacrazione.

Poi sai, al di là degli errori che si fanno, uno legge la mia carriera e magari pensa che io abbia cambiato spesso perché ero io il problema, ma la verità è molto diversa. A Torino Calleri doveva sanare i conti e mi vendette, a Napoli Ferlaino aveva debiti e feci la stessa fine. Però confermo: all’Inter ho fatto l’errore più grande della carriera.

 

  • Benny in maglia Sheffield Wednesday, la prima indossata in Inghilterra. Qui affronta Rio Ferdinand, allora al West Ham

Cosa ti è più rimasto nel cuore della tua lunga esperienza inglese?

La cultura, il modo in cui vedono il calcio e soprattutto la lealtà. Appena arrivato a Sheffield, da furbetto italiano tendevo a buttarmi appena mi toccavano. Lo feci due volte e mi resi conto che lì ti fischiavano i tuoi stessi tifosi. Fu una grande lezione.

  • Alla Ternana Benito ha sperimentato il ruolo di "manager all'inglese"

Tu hai già diverse esperienze sia da allenatore che da consulente, come ad esempio quella per il Leeds. Pensi che in Italia potrà mai esistere un ruolo di “manager” all’inglese?

Quella di Leeds è stata un’esperienza costruttiva, meravigliosa. Ho lavorato con un maestro come Cellino che è sì un tipo particolare, ma l’esperienza mi ha fatto crescere molto. In più ho avuto la possibilità di confrontarmi con una realtà diversa.
Quanto al ruolo di manager, io ho un’esperienza di questo tipo a Terni. Ti dirò: l’idea non è molto condivisa dai giocatori. In Italia non c’è la cultura, l’abitudine di vedere una persona che possa comandare in campo e fuori. Seguirli in campo, dar loro un permesso, organizzare una trasferta: se non si sta attenti rischi di perdere credibilità.
In Italia poi c’è anche un altro problema: se si facesse avanti la figura dell’allenatore-manager, di colpo qualche migliaio di dirigenti sportivi rimarrebbe senza lavoro.

Come allenatore sei uno che tende a seguire i tuoi ragazzi maniacalmente anche negli aspetti fuori dal campo, oppure tendi a lasciare che si gestiscano responsabilmente?

A questi livelli mi aspetto di avere a che fare con dei professionisti, non posso mettermi in macchina a seguirli per sapere cosa fanno di sera.

So che segui anche la seconda serie inglese: come ti spieghi che oggi un terzo delle squadre in Championship abbiano allenatori stranieri. Come ti spieghi questa esplosione di esterofilia?

Il calcio si è evoluto, e questo significa che tanti allenatori europei sono arrivato lì e hanno portato le loro idee. Ormai anche in Championship non vedi più il classico palla lunga e seconda palla, ora si gioca a calcio.

Quanto è importante per un allenatore – o un giocatore – straniero imparare in fretta la lingua e adattarsi alla cultura?

Fondamentale. Perchè poi la qualità migliore dell’allenatore è di fare arrivare alla squadra quello che vuole. Non puoi fare sempre affidamento sull’interprete. È la parte più importante di un allenatore, indispensabile!

Parliamo della tua prima squadra inglese, lo Sheffield Wednesday. Carlos Carvalhal li ha portati ai playoff per due anni consecutivi. Che pensi del suo lavoro?

Ha fatto un ottimo lavoro quando non c’erano aspettative. Quando non dovevi vincere nulla è riuscito a portare squadra nei playoff. Ora però è stato supportato dalla società con un mercato importante e deve vincere.

Sono 17 anni che gli Owls mancano dalla Premier League, praticamente da quando sei andato via tu. In generale, quali pensi siano i motivi di questa lunga assenza?

Non conosco tutte le dinamiche degli ultimi anni. Il problema è che lo Sheffield Wednesday non può stare così tanto tempo fuori dalla Premier, è una delle società storiche e quella categoria gli spetterebbe di diritto. Arrivano sempre a un passo, allora io gli dico “il giorno in cui prenderete me ce la farete!”

L’Aston Villa è forse il club più prestigioso in cui hai giocato nei tuoi anni inglesi. In un 5° turno di FA Cup  segnasti una tripletta contro il Leeds, ma si dice che prima avesti un colloquio-chiave con l’allenatore John Gregory. Fu davvero così importante per te?

Fu fondamentale! Il giorno prima di quella partita ero un po’ in difficoltà, ero molto giù di corda, così gli avevo chiesto di andare via e tornare in Italia. La sua risposta fu “vai a casa sì, ma a Birmingham, rilassati, fatti un bagno caldo, domani vieni qua e fai due gol.” Ne feci tre.

Gregory ha sempre creduto in me, mi prese per dare qualità alla squadra, nonostante ci fosse già gente come Paul Merson. Sì, fu uno dei club più importanti della mia carriera e giocare al Villa Park è fantastico!

In generale quelli in Inghilterra – dai miei 24 ai 30 – siano stati in assoluto i miei anni migliori. L’unico rammarico è aver giocato sempre con squadre non di primissima fascia, non sono mai riuscito a fare il definitivo salto di qualità. Ci fu  un anno in cui mi voleva il Chelsea di Vialli, ma poi non se ne fece nulla.

Tra l’altro anche l’Aston Villa sta lottando per tornare in Premier. Ti ha dato fastidio vederli retrocedere? E pensi che ce la possano fare?

Questo è un altro club che non esiste stia in Championship. Può succedere che tu abbia un anno di difficoltà, ma devi tornare su immediatamente. So che hanno rafforzato la rosa e spero che ce la facciano, se no si rischia di fare la fine dello Sheffield.

Sì, vederli andare giù mi ha fatto tanto male come per gli Owls. Di ogni squadra, di ogni maglia che ho indossato mi porto dentro qualcosa. Quelli di Sheffield per me sono stati 3 anni meravigliosi ed è forse quella in cui ho condiviso più situazioni con i tifosi. Ma come ho detto, indossare la maglia dell’Aston Villa per me è stato un onore e un piacere.

Il più forte calciatore con cui hai giocato?

Ce ne sono tantissimi! Se devo sceglierne uno, dico Paolo Di Canio. Se parliamo di difensori, invece, vado facile su Fabio (Cannavaro, ndr).

  • Paolo Di Canio abbraccia Benny Carbone

Conoscendo così a fondo il mondo del pallone, cosa consiglieresti oggi a un ragazzo che sogna di sfondare nel calcio?

Se non hai la passione è tutto inutile. Non devi diventare calciatore per forza, ai miei figli l’ho detto fin dall’inizio. Se non hai passione non puoi fare quel mestiere lì, è meglio che ti dedichi ad altro.

 

Intervista a cura di Domenico Gioffrè

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