Pedrosa, l’eterno scontento (e sconfitto). Che fine ha fatto il pilota che avrebbe dovuto dominare la MotoGp?
Pedrosa, l’eterno scontento (e sconfitto). Che fine ha fatto il pilota che avrebbe dovuto dominare la MotoGp?

Pedrosa, l’eterno scontento (e sconfitto). Che fine ha fatto il pilota che avrebbe dovuto dominare la MotoGp?

Lo spagnolo arrivò nel 2006 nella classe regina con tre titoli iridati in bacheca e le stimmate del campione. Doveva porre fine alla supremazia di Valentino Rossi, ma da lì in avanti la sua parabola è stata in costante e insesorabile discesa

Dei tre moschettieri spagnoli della MotoGp ce n’è uno che ha perso il sorriso e lo smalto da un bel po’ di tempo. Lorenzo si dà da fare per rosicchiare punti al leader del Mondiale Valentino Rossi e mettere in archivio il terzo titolo personale dopo i trionfi nel 201o e 2012. Marquez – bicampione ai limiti del disumano nel 2013 e 2014 – nonostante le incertezze di inizio stagione ha dimostrato fra Sachsenring e Indianapolis di essere presentissimo per la lotta all’iride. Daniel Pedrosa invece, ogni volta che si volta verso la propria bacheca dei trionfi, ricorda amaramente che sono passati già dieci anni dall’ultima volta che riuscì a piazzarsi davanti a tutti a fine stagione.

Era il 2005, praticamente un’eternità fa. Lo spagnolo della Honda approdò in MotoGp nel 2006, reduce da tre titoli consecutivi fra 125 e 250, categorie in cui aveva dominato in lungo e in largo per un triennio. Era il pilota più promettente della propria generazione – i risultati fin lì gli avevano dato sempre ragione – e la casa giapponese aveva scommesso forte su di lui per porre fine all’egemonia di Valentino Rossi e di una Yamaha tornata vincente grazie al Dottore dopo anni di attesa (l’ultimo trionfo in 500 era targato Wayne Rainey e risaliva addirittura al 1992).

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2004: Daniel Pedrosa festeggia il suo primo titolo in 250 con la Honda

La prima stagione fra i “grandi” con la Honda HRC, più che per le due vittorie a Shanghai e Donigton, sarà per sempre ricordata per il tentativo kamikaze di sfilare al proprio compagno di squadra Nicky Hayden un titolo che sembrava già in tasca, stendendolo durante il Gp dell’Estoril (il penultimo in calendario) e regalando la testa del Mondiale a Rossi.

Valentino avrebbe involontariamente restituito il favore nella gara successiva, scivolando al primo giro del Gran Premio della Comunità Valenciana. Risultato: titolo al Kentucky Kid e Pedrosa salvato dal linciaggio Honda. Ma questa è un’altra storia.

Quella che vogliamo raccontare è invece quella un po’ malinconica di un pilota che sulla carta sembrava avere tutto per diventare un fuoriclasse leggendario e che invece in un decennio non è riuscito a levarsi di dosso il ruolo di eterno piazzato, mai realmente in lotta per il titolo. E non ingannino le sfilze di secondi e terzi posti nel Mondiale, perché la verità è che lo spagnolo in 9 stagioni di MotoGp non è mai stato un reale contender.

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“Manico”, costanza, velocità e solidità di guida ci sono tutte. Peccato che debbano convivere con una cronica incapacità di piazzare la zampata vincente in bagarre e con un’indole fin troppo sonnolenta che mal si adegua a chi dovrebbe azzannare l’asfalto.

A questi difetti si è aggiunta anche la sfortuna accanitasi su un pilota che nel corso delle sue annate più convincenti ha sempre dovuto fare i conti con infortuni che lo hanno costretto a saltare gare decisive (clavicola fratturata e tre gare saltate nel finale di stagione 2010 quando era in piena lotta per il titolo con Lorenzo, nuova frattura l’anno successivo dopo un contatto a Le Mans con Simoncelli) e che hanno dato la definitiva mazzata a un ragazzo che all’alba della decima stagione nella classe regina è diventato la pallida copia di quello ammirato nei suoi anni giovanili da dominatore assoluto fra 125 e 250, capace di mettere in riga i futuri bi-campioni del mondo Stoner e Lorenzo.

MotoGp Red Bull U.S. Indianapolis Grand Prix - Race
Dani Pedrosa in bagarre (persa) con Rossi a Indianapolis

I problemi al braccio destro che l’hanno obbligato ad operarsi in aprile e a saltare altre tre gare di questa stagione sono solo l’ultima tappa del calvario di Pedrosa, inchiodato al settimo posto della classifica mondiale con 80 punti e con i due podi del Sachsenring e del Montmelò a gettare timidi spiragli di luce sul futuro di un pilota che con 49 vittorie è nono nella classifica di ogni tempo per Gran Premi conquistati e quarto in quella dei podi con 135, a sole quattro lunghezze dalla leggenda spagnola Angel Nieto, senza contare la presenza nella top 10 di ogni epoca per pole position e dei giri veloci messi a segno.

Numeri verosimilmente destinati a crescere, magari partendo – o ripartendo – proprio da Brno, dove Pedrosa in passato ha già vinto 4 volte (l’ultima proprio l’anno scorso) e altre 4 volte è salito sul podio.

La partenza dalla nona casella della griglia dovuta, tanto per cambiare a dei guai fisici (stavolta ci si è messo il piede destro dolorante dopo una caduta nella sessione di prove libere di venerdì) non lo aiuterà: una vittoria di Dani a Brno pagherà quest’anno 27,00/1 più del decuplo rispetto a quella del favorito Lorenzo (2,10) e del compagno di squadra Marquez (2,65).

Ma ha senso scommettere ancora su di lui? Il talento c’è ed è cristallino, e nonostante le tante, troppe difficoltà la risposta è ancora sì: il Mondiale è un discorso ormai chiuso, ma da qui a fine stagione siamo certi che un paio di zampate lo spagnolo sarà ancora in grado di darle. Perlomeno per orgoglio.

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