Flop 5 del decennio: cosa c'è da dimenticare tra il 2010 e il 2019
Flop 5 del decennio: cosa c'è da dimenticare tra il 2010 e il 2019

Flop 5 del decennio: cosa c’è da dimenticare tra il 2010 e il 2019

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Sta volgendo al termine il 2019, annata che va chiudendo il secondo decennio del nuovo millennio. In questo articolo abbiamo condensato ciò che di peggio abbiamo vissuto dal punto di vista calcistico in questi 10 anni, un lasso di tempo che ha saputo offrirci tanto sia nel calcio continentale che in quello di casa nostra.

Il declino del Milan

Decennio tragico per i rossoneri. E dire che all’inizio del 2010 nessuno avrebbe pensato ad un epilogo di questo genere: chiusa la stagione del 4-2-fantasia di Leonardo, l’ingaggio di Massimiliano Allegri e lo scudetto vinto con Ibrahimovic, Nesta, Thiago Silva, Pato, Robinho, Boateng ed altri campioni. La seconda decade del nuovo millennio, invece, vede il Diavolo ridimensionato come non era mai successo da quando era stato rilevato da Silvio Berlusconi in avanti. Un declino figlio di molteplici padri: tra gestioni economiche e finanziarie non esattamente impeccabili, l’incapacità di rinnovare un ciclo immenso e lunghissimo, sì, ma destinato a finire come tutti; la riduzione progressiva del budget delle casse rossonere mentre il calciomercato inflazionava a ritmi di inedita velocità e l’incapacità successiva di assumere delle politiche economiche tali da risollevare il club. Il Milan oggi ha una storia ed un blasone importantissimi ed intoccabili, certo, ma paradossalmente troppo pesanti per i giocatori che oggi ne vestono la maglia. Il blasone ci dice che i rossoneri siano e restino élite del calcio, ma i risultati sportivi, per loro sfortuna, asseriscono il contrario. In 10 anni, più della metà sono stati spesi lontano dall’Europa che conta. Ed era dagli anni Settanta che i rossoneri non terminavano una decade senza vincere la massima competizione continentale. A Casa Milan c’è una forte necessità di pazienza e lungimiranza, perché uscire da questa crisi non è facile, ma è possibile. Ci vuole tempo e il problema vero sembra essere il fatto che di tempo non ce ne sia. Di certo, però, tra le nobili del calcio continentale e mondiale, questa decade per i rossoneri è proprio da dimenticare.

Ibrahimovic esultante dopo una delle sue reti in rossonero. (Photo credit should read OLIVIER MORIN/AFP via Getty Images)

I soldi spesi da Man City e PSG per (non) vincere la Champions League

3.030 miliardi di euro. Questa è la cifra che Manchester City (1.638 mld) e Paris Saint-Germain (1.392 mld) hanno speso dal 2010 ad oggi per inseguire il sogno chiamato Champions League, obiettivo ancora sfuggito alle proprietà degli sceicchi Mansour e Al Khelaifi. L’acquisto più oneroso dei mancuniani è stato Kevin De Bruyne, pagato 76 milioni di euro, mentre ben più chiacchierato è stato l’acquisto più oneroso della storia dei parigini, quel Neymar che con 222 milioni fa combaciare l’acquisto più caro del club e quello più caro di sempre. I risultati non sono del tutto insoddisfacenti, se si guarda il palmares: il Manchester City, infatti, in questi anni ha vinto 4 Premier League, 2 FA Cup, 4 Coppe di Lega e 3 Community Shield, mentre il PSG ha collezionato 6 campionati di Ligue 1, 5 Coppe di Francia, 5 Coppe di Lega e 7 Supercoppe francesi. Troppo poco, però. Per le ambizioni delle due proprietà, peraltro legate da un legame di parentela (i due sceicchi sono cugini). Si può dire che l’ossessione di vincere la Champions League sia un affare di famiglia. Ossessione che ha portato a dilapidare oltre 3 miliardi di euro (solo in sede di mercato e solo per quel che concerne i cartellini dei giocatori, senza tener conto dei loro ingaggi e degli ingaggi degli allenatori) senza trovare alcuna soddisfazione al di fuori dei confini nazionali. Nel calcio moderno i soldi sono diventati tanto importanti, mai come prima. Ma, purtroppo o per fortuna, non sono ancora tutto.

Neymar Jr. con la maglia del PSG. Il giocatore più pagato di sempre. (Photo by FRANCK FIFE / AFP) (Photo by FRANCK FIFE/AFP via Getty Images)

I talenti sprecati di Pato, Balotelli e Giovani Dos Santos

Questa decade, tuttavia, ha visto spegnersi la stella di tre dei talenti più puri e genuini degli ultimi anni: Pato, Balotelli e Dos Santos. Su Alexandre Pato, che in gioventù aveva numeri e colpi che ricordavano per certi versi quelli di Ronaldo il Fenomeno, girano diverse ipotesi: da Milan Lab e l’eccessiva massa muscolare fatta metter su di un fisico che ne ha risentito alla scarsa tenuta mentale di un giocatore che anche dopo aver superato il problema degli infortuni, non ha più il quid (e l’apparente voglia di spaccare il mondo) che lo contraddistingueva nelle fasi iniziali della sua carriera, tra Internacional e Milan. Di Mario Balotelli conosciamo un po’ vita, morte e miracoli: il più grande rimpianto calcistico del calcio italiano degli ultimi anni è appena 30enne e pare in parabola discendente da anni: il Balotelli più forte mai visto in carriera probabilmente è quello dell’Inter, che nel 2010 si è consacrato campione d’Europa con la controversia che ne ha contraddistinto la carriera. Maglia dei nerazzurri gettata a terra e lesa maestà nei confronti dei tifosi che lo hanno supportato e sopportato fino a quel momento. Di lì in poi, comparse qua e là tra Inghilterra (Manchester City e Liverpool), Francia (Nizza e Marsiglia) e Italia (Milan e Brescia) senza mai lasciare il segno. Giovani Dos Santos, infine, è il più grande rimpianto del Centro e Sudamerica: cresciuto nelle giovanili del Barcellona, il messicano classe 1989 ha dilapidato anch’egli uno straordinario talento donatogli da madre natura. Dopo un pellegrinaggio tra Tottenham, Ipswich Town, Galatasaray e Racing Santander, Dos Santos pareva aver trovato il suo equilibrio e la sua dimensione al Villarreal, ma dopo 2 stagioni è approdato in MLS, al Los Angeles Galaxy. Da quest’anno gioca al club America, in Messico, con la sensazione che avrebbe potuto dare molto di più al mondo del calcio. Potevano essere e non sono mai stati.

Alexandre Pato al Camp Nou, un gol da predestinato. (Photo credit should read LLUIS GENE/AFP via Getty Images)

La Nazionale di Gian Piero Ventura

Impossibile non pensarci neanche per un attimo: la gestione Ventura a livello di risultati è la peggiore della storia della Nazionale italiana da più di 70 anni a questa parte: non qualificarsi ad un Mondiale, per una nazionale del rango dell’Italia, è una sconfitta senza eguali, la peggiore che potesse capitare al movimento calcistico italiano. Il doppio confronto con la Svezia, che ha visto gli Azzurri incapaci di segnare una sola rete alla nazionale di Olsen e Forsberg, è una vera e propria debacle, un’onta che Roberto Mancini ha il grande merito di far sentire lontana e quasi mai accaduta. In realtà, va detto per onestà intellettuale, l’ex CT Ventura non ha gestito male la Nazionale per tutta la durata del suo mandato: nel girone con la Spagna ci può stare che si finisse secondi, dietro agli iberici. Il problema è stato di natura mentale. Forte di una presunzione ingiustificata, Gian Piero Ventura ha provato ad imporre la propria versione del tiqui-taca alla squadra madre di tale filosofia calcistica, subendo un’umiliazione tecnica e tattica che ha incrinato le certezze dei giocatori, ma non ha minato minimamente le convinzioni dell’ex CT, che continuava a parlare della necessità di ricercare il bel gioco come priorità della squadra, anche durante lo spareggio con la Svezia, al quale si è arrivati arrancando sia dal punto di vista prestazionale che di convinzioni ed autostima. E infatti, con gli scandinavi si è visto. Totalmente da dimenticare.

13 novembre 2017, giorno nefasto per la Nazionale italiana. (Photo by Claudio Villa/Getty Images)

La carta d’identità di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo

Infine, viene da pensare alla più grande e bella rivalità calcistica dell’ultimo periodo. E probabilmente di sempre. Il dualismo tra Messi e Ronaldo ha spinto entrambi ad andare oltre i propri limiti, a fare meglio di ciò che avrebbero fatto se non ci fosse stato l’altro: lo hanno ammesso entrambi a più riprese e la loro rivalità, specie quando il lusitano giocava in Spagna, è stata un vero e proprio catalizzatore di attenzione da parte di appassionati, curiosi e spudorati fanboy. Vorremmo tanto dimenticare il fatto che i due fuoriclasse nel 2020 compiranno 33 e 35 anni e che il tempo per loro si fermasse, ma sappiamo bene che ciò non sia possibile e nella speranza che continuino a giocare ancora a lungo, ci godiamo ogni loro partita e ogni loro magia.

Messi e Ronaldo, la rivalità delle rivalità. (Photo by Laurence Griffiths/Getty Images)

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