La recensione di Sunderland 'Til I Die 2: Netflix ci racconta un'altra incredibile stagione dei Black Cats
La recensione di Sunderland 'Til I Die 2: Netflix ci racconta un'altra incredibile stagione dei Black Cats

La recensione di Sunderland ‘Til I Die 2: Netflix ci racconta un’altra incredibile stagione dei Black Cats

Dopo la tragicomica retrocessione in terza serie arrivata al termine della prima stagione, “Sunderland ‘Til I Die 2” ci accompagna in una nuova incredibile annata di un club un tempo glorioso e oggi lontanissimo dal calcio che conta. Tra continui alti e bassi, i Black Cats cercano di ritrovare il blasone perduto accompagnati da una tifoseria unica, che vive letteralmente per la squadra.

“Sunderland ‘Til I Die”: la seconda stagione è su Netflix

Ormai da qualche anno le principali piattaforme di streaming stanno provando a raccontare il calcio con quello che in gergo viene chiamato docu-reality: una troupe televisiva segue un club nel corso di un’intera stagione per mostrare allo spettatore aspettative e risultati, alti e bassi e i delicati equilibri che possono determinare il successo o il fallimento di una squadra. Sono numerosi i fattori che possono determinare quanto una serie riesca a fare presa nel pubblico, e al netto di una produzione eccellente spesso è fondamentale che la stagione narrata sia, nel bene o nel male, eccezionale.

La prima stagione di “Sunderland ‘Til I Die” è stata un vero e proprio successo proprio per questo: cominciata con l’intento di raccontare la rinascita di uno dei club più antichi e importanti d’Inghilterra, precipitato in seconda categoria e deciso a riprendersi un posto nel calcio che conta, la serie si è trovata invece a testimoniare la vera e propria discesa agli inferi dei Black Cats tra incomprensioni, pessima gestione delle risorse, supponenza e sfortuna. Un’annata fallimentare sotto ogni punto di vista che è stata determinante per il successo del prodotto firmato Fulwell 73, che a differenza dei predecessori ha dato molto più spazio agli umori e ai sogni – infranti – di una tra le tifoserie più calde e fedeli di tutto il calcio inglese.

Cos’era successo nella stagione 1

Sprofondato fatalmente in Championship dopo anni di risultati mediocri, a fronte di investimenti non di poco conto, nella stagione 2017/2018 il Sunderland conta di riprendersi subito un posto in Premier League. Nonostante la proprietà abbia deciso di chiudere i cordoni della borsa, non sono in pochi quelli che in estate ritengono che basterà il calore dei tifosi e il blasone di uno dei club più antichi del Paese per compiere l’impresa. Nelle quote sulla Championship la promozione dei Black Cats è data quasi per scontata, ma le aspettative vengono quasi immediatamente frustrate da una partenza stentata che prima vede Cattermole e compagni perdere terreno nei confronti della concorrenza e poi sprofondare sempre più in zona retrocessione.

Con una proprietà sempre più lontana dal club e una rosa male assortita, composta da giocatori che sulla carta sarebbero persino di categoria superiore ma che sul campo non riescono a rendere secondo le aspettative, i tifosi del Sunderland si trovano ad assistere impotenti a una serie di eventi che trasformano, settimana dopo settimana, quella che doveva essere la stagione della riscossa in una vera e propria tragedia sportiva. Che culmina, clamorosamente, con una nuova retrocessione in League One e la cessione della società a Stewart Donald.

Quanto è difficile rialzarsi

È con l’arrivo del nuovo presidente che si conclude la prima stagione, ed è da qui che riparte “Sunderland ‘Til I Die 2”: Donald sembra avere le idee chiare, vuole ricostruire il club dalle fondamenta anche dal punto di vista finanziario e riportarlo dove merita. Rappresenta un nuovo inizio, e per questo motivo conquista la fiducia di una tifoseria che da sempre vive per la propria squadra e che vuole fermamente credere che dopo un lungo periodo di buio sia arrivato finalmente il momento della riscossa. Anche se è a secco di trofei addirittura dal 1973, anno in cui conquistò la FA Cup, il Sunderland è comunque un club dal blasone indiscutibile: cosa potrebbe mai andare storto?

In realtà è chiaro fin dall’inizio che la promozione sarà un obiettivo tutt’altro che scontato: la situazione finanziaria del club non è semplice, perché se è vero che prima di cedere la società il precedente proprietario Ellis Short ha azzerato i debiti lo è altrettanto il fatto che la nuova dirigenza ha ereditato una squadra con pochi punti fermi e che si trova a muoversi sul mercato con grande difficoltà a causa delle enormi spese legate al monte-ingaggi, decisamente sproporzionato per la categoria. Le questioni finanziarie sono una costante di “Sunderland ‘Til I Die 2”, e spiegano l’incertezza che accompagna i Black Cats durante l’estate che precede la stagione 2018/2019 a dispetto dell’ottimismo e dell’entusiasmo sbandierati un po’ da tutti: dirigenti, giocatori e tifosi, ancora una volta i veri protagonisti.

Il talentuoso attaccante Josh Maja è la stella da cui il Sunderland riparte in League One. Peccato per il contratto in scadenza… (Getty Images)

Rodwell e Maja, business e valori

Se ne è andato Jack Rodwell, ex promessa del calcio inglese che nella prima stagione era stato indicato – in modo decisamente ingeneroso – come uno dei principali responsabili della pessima stagione vissuta dal club: forte di un ricco contratto da 70mila sterline alla settimana, il centrocampista per cui un tempo il Manchester City aveva speso oltre 12 milioni di sterline aveva più volte rifiutato la cessione finendo per destabilizzare il club e trasformarsi nel capro espiatorio perfetto per tutti. Il club riparte da una rosa decisamente corta – tra i tanti salutano anche Borini, McNair, Lens, Khazri e Asoro – e si affida a un pugno di acquisti di categoria, al nuovo capitano Honeyman e soprattutto al giovanissimo prodotto del vivaio Josh Maja, bomber di talento che però ha il contratto in scadenza e il cui rinnovo è tutt’altro che scontato.

Sarà proprio la situazione di quest’ultimo a sottolineare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, il fatto che nel calcio moderno la programmazione sia fondamentale per le fortune di un club: lo scontro tra chi è rimasto ancorato ai valori di una volta e la dura realtà, in cui soldi e prospettive hanno una grandissima importanza, è perfettamente riassunto dalla vicenda che riguarda Maja e che occupa gran parte della seconda e terza puntata. Lo scontro costante tra questi due mondi, quello del “business football” in cui viviamo e quello in cui vivono i tifosi, per cui il club è la cosa più importante al mondo, sarà ancora una volta – più che nella prima stagione – il leit-motiv di “Sunderland ‘Til I Die 2”.

Sunderland ‘Til I Die 2, i protagonisti della serie

Anche nella seconda stagione i veri protagonisti sono alcuni tifosi, sorteggiati a caso tra gli abbonati e seguiti nel corso dell’intera stagione e i dipendenti del club costretti a convivere costantemente con il rischio di essere licenziati a causa della difficile situazione finanziaria del club. Grande spazio viene poi dato ovviamente al duo composto dal nuovo proprietario Stewart Donald e dal suo braccio destro Charlie Methven: il primo ci viene presentato come un grande appassionato, pur se un po’ ingenuo, il secondo come un individuo pieno di idee e pronto a rinnovare radicalmente la struttura stessa della società.

Lo spazio dedicato alla squadra non manca, anche se poche figure vengono davvero approfondite: tra queste impossibile non citare Josh Maja e il difensore Jack Baldwin, mortificato dopo una prestazione negativa al punto di parlare apertamente della troppa tensione che accompagna la vita dei calciatori, conseguenza delle enormi aspettative di un popolo che vive in modo eccessivo – nel bene e nel male – il calcio e la propria squadra. Una questione, quella dell’eccessiva pressione da parte di un ambiente che può caricarti o distruggerti, che forse spiega anche la partenza non positiva del giovane Luke O’Nien, che però di settimana in settimana riuscirà a ritagliarsi uno spazio importante.

La sua è una presenza che spicca, a differenza di quella del manager scozzese Jack Ross, che come i suoi predecessori nella scorsa stagione appare invece in certi casi quasi infastidito dall’onnipresente presenza delle telecamere e che sicuramente condiziona il rendimento della squadra.

Il giovane centrocampista Luke O’Nien è uno dei principali protagonisti della seconda stagione di “Sunderland ‘Til I Die”. (Getty Images)

Tra sogno e tragedia, una seconda stagione che non tradisce le attese

Anche chi sa come sia andata la stagione 2018/2019 dei Black Cats in League One potrà comunque godersi la seconda stagione di “Sunderland ‘Til I Die”, che si dedica ancora più che in passato ai sogni e alle aspettative di tifosi davvero unici, pronti a sostenere ad ogni costo una squadra che per molti rappresenta tutto o quasi: il motivo per sopportare una vita spesso dura e avara di soddisfazioni, l’occasione per per riscattarsi agli occhi del resto del mondo, un momento di gioia – a volte l’unico – per cui vivere le routine di settimane altrimenti sempre uguali.

La serie firmata da Fulwell 73 – che trae il proprio nome da uno stand dello “Stadium of Light” e dall’anno dell’ultimo trofeo alzato – riesce però a raccontare molto altro, pur focalizzandosi giustamente sulle emozioni vissute dalla tifoseria: “Sunderland ‘Til I Die” riesce infatti a raccontare perfettamente il calcio di oggi e quello di un tempo, quello che esiste lontano dalle grandi e ricchissime realtà della Premier League, e al netto di qualche concessione stilistica di troppo, come la necessità a volte forzata di trovare personaggi negativi e positivi, è oggi il miglior affresco possibile sulla vera essenza del football, fatta di sogni e illusioni, momenti di gioia e di sconforto e tutte quelle emozioni che da sempre sono generate da un pallone che rotola.

Sunderland ‘til I die,

I’m Sunderland ‘til I die,

I know I am,

I’m sure I am,

I’m Sunderland ‘til I die…

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