Galli, ricorda i primi discorsi di Silvio Berlusconi quando veniva a Milanello a incitarvi?
“Beh, soprattutto ricordo la prima volta quando siamo andati ad Arcore, parlo dei cinque nuovi acquisti di quella stagione: Bonetti, Galderisi, Donadoni, Massaro ed io. Andiamo a incontrare il Presidente e facciamo un pranzo insieme. E già da lì, ci fece capire quale era la sua idea di calcio e quale fosse il suo progetto; lui ci metteva tutto a disposizione e noi dovevamo solo pensare a giocare a calcio. Poi, quando veniva a Milanello e ti faceva fare quella passeggiata da solo insieme a lui, logico che sapeva toccare i tasti giusti per darti delle motivazioni. Anche per darti il conforto nei momenti difficili o per spronarti”.
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Arrigo Sacchi
Arrigo Sacchi in cosa ha rivoluzionato il calcio italiano?
“Al di là di quelle che erano le sue innovative metodologie di lavoro, direi che quello che lo differenziava da tutti i suoi predecessori è che noi dovevamo cambiare quello che in Italia non è facile. Dovevamo cioè diventare noi i protagonisti e non vivere sugli altri. Il nostro lavoro era soprattutto incentrato sul migliorare l’organizzazione di squadra, sull’avere un’idea di calcio, sull’essere propositivi. Dovevamo comandare la partita e all’interno di questo lui aveva certamente delle individualità di primo livello, ma il lavoro più duro non era quello di migliorare il calciatore sotto l’aspetto tattico e tecnico, ma dal punto di vista mentale. Questa credo che sia stata la grande rivoluzione di Sacchi, che poi è stata supportata anche dai risultati. Quando siamo andati a giocare a Napoli la partita del primo di gennaio del 1988 a tutto pensavamo tranne che agli avversari azzurri: dovevamo pensare a tutto quello che avevamo fatto negli ultimi 10 mesi, al nostro grande lavoro. Poi se dall’altra parte avessimo trovato una squadra più forte di noi era giusto perdere, ma eravamo talmente convinti di quello che stavamo facendo…e devo dire che l’unica preoccupazione era quella di Berlusconi sulle condizioni di Maradona”.
Maradona al Milan è stata veramente un’idea che ha accarezzato Berlusconi?
“Sinceramente io questo non lo so, dato che allora facevo il calciatore e non il dirigente. Questa è una cosa che bisognerebbe chiedere a lui e ai suoi collaboratori”.
Se lei potesse dare un Pallone d’Oro alla carriera chi sceglierebbe tra Franco Baresi e Paolo Maldini?
“Mi mette in difficoltà perché, a parte che sono stati due campioni, sono stati due carissimi amici. Sono due persone che stimo. Alla carriera se ne danno più di uno: per esempio anche Gigi Buffon non meriterebbe un Pallone d’Oro? Si sta parlando di giocatori che hanno fatto la storia del calcio, per quello che hanno conquistato e dimostrato nella loro carriera un premio a questi due straordinari fenomeni rossoneri bisognerebbe comunque darlo”.
Dopo Sacchi sono arrivati Capello e Ancelotti: chi le piaceva di più?
“Io con Capello dovevo tornare al Milan, finita la mia parentesi al Napoli. Lui mi voleva fortemente al Milan e voleva che io ritornassi a fare il portiere nei rossoneri. Purtroppo poi non ci furono i presupposti tra Napoli e Milan e tutto saltò per aria. Io rimasi ancora una stagione negli azzurri. Ritengo che Capello avesse una grande fiducia nel sottoscritto; lui è stata una persona molto abile perché ci sono allenatori che allenano la squadra sul campo, ed altri che la allenano nella testa. Lui è stato molto bravo a sfruttare e utilizzare il lavoro di Sacchi allentando un po’ le pressioni sul campo, però facendo in modo che i suoi calciatori si sentissero più responsabili. Per cui ha raccolto sulla falsariga del calcio di Sacchi ed ha portato quello che era il suo carattere, la sua determinazione e la sua cattiveria, tutte cose che ha aggiunto ad una macchina che stava andando già molto bene.
Su Carletto che cosa devo dire… Carlo è un fratello, un amico. A lui scivola tutto via di dosso: fai fatica a vederlo sotto pressione o sotto tensione. Si ha quasi la sensazione che abbia già vissuto tutto o perlomeno abbia la soluzione a tutto. Ha un rapporto straordinario con i suoi calciatori. Si sta parlando di allenatori vincenti e diversi tra loro e questo conferma ancora di più la mia tesi. Quando parlo con Arrigo Sacchi di calcio – nonostante la sua rivoluzione – si vince in tante maniere a pallone, altrimenti Mourinho non avrebbe mai vinto. Per cui tutti questi grandi mister hanno una qualità tale in grado di portarti alla vittoria; pensando che ovviamente bisogna avere anche gli strumenti adatti, e mi riferisco alla società e ai giocatori ovviamente”.
Per il 2018, visto il possibile disimpegno di Thohir e le difficoltà dei cinesi del Milan, non è che ritorneranno le dinastie Berlusconi e Moratti?
“Veramente io ho fatto fatica a vedere un paio di ultimi derby con proprietà cinesi in tribuna: meno male che avevano una sciarpa rossonera e una nerazzurra, altrimenti non avrei saputo dirvi chi è il Presidente dell’Inter e chi quello del Milan… Chi li conosce i cinesi? Se veramente dovessero tornare ora Moratti e Berlusconi a me si aprirebbe il cuore, perché sono due persone che io ho avuto il piacere di conoscere e sono due persone straordinarie. Sono patron che amano il calcio ma soprattutto amano Milano, uno dalla sponda rossonera e uno dalla sponda nerazzurra. Sono profondamente legati a queste due squadre per cui se dovessero ritornare io sarei la persona più felice al mondo. Se non dovesse essere così però, speriamo che questi cinesi possono essere affidabili”.
Marco Van Basten: al Milan tra Shevchenko, Weah e Kakà chi è che l’ha avvicinato di più?
“Marco era unico. Marco era un giocatore elegante, un giocatore bello al di là dell’estetica stessa nel vederlo correre, nel vederlo muovere. Stilisticamente poi era perfetto, non aveva rivali se si pensa che a 28 anni lui aveva già vinto il Pallone d’Oro tre volte. E già questo ti dà l’esatta dimensione del calciatore. Poi io avevo una predilezione per Kakà, perché Ricky era un altro giocatore che mi piaceva per il suo modo di stare in campo, per la sua eleganza. Mi piaceva la sua faccia pulita: per tanti aspetti se lo accosto a tutti questi, Kakà ti devo dire che è stato per parte mia il migliore. Io il brasiliano lo metto al primo posto”.
Galli, sul caso Donnarumma se fosse capitato a lei quando difendeva la porta del Milan che il Paris Saint Germain arrivasse e le avesse offerto il doppio dello stipendio, lei che cosa avrebbe fatto?
“Mah, scritto così sembra troppo semplice rispondere, ma io credo che ci sia una storia da raccontare. Una storia che inizia da quest’estate, forse da marzo col fatto di non voler rinnovare il contratto, e già questo non credo che fosse l’intenzione del ragazzo. Poi è stato trovato l’accordo, ed è un accordo molto vantaggioso per Donnarumma perché a 18 anni guadagna già quelle cifre. Probabilmente dico io perché ancora deve dimostrare tutto, e poi a distanza di 4 o 5 mesi già fai fatica a recuperare il rapporto che era stato strappato ad agosto, riesci a rimettere insieme le cose. E si riparte con una nuova idea e con un nuovo progetto. Credo che il Paris Saint Germain potrebbe anche aspettare no? Ti prendi questi anni di tempo visto che hai 5 anni con uno stipendio altissimo che non ti metterà nelle condizioni quando smetti di giocare di fare il barbone… Perciò poi queste uscite in un momento così particolare del Milan, in un momento difficile in Serie A, se tu ci vai a mettere il carico sopra è logico che non è stata una situazione che è stata gestita bene assolutamente. Perché a fronte di un contratto di 5 anni non è che Donnarumma sia a scadenza, che puoi forzare la mano: hai firmato 4 mesi fa. Io credo che ci siano altri interessi in ballo e che il ragazzo sia una vittima. Però ora hai 18 anni e sei maturo, sei un ragazzo che può scegliere cosa fare e cosa dire: bisogna che tu ti assuma delle responsabilità. Anche sui risultati del Milan di quest’anno, perchè si vince e si perde tutti insieme, non è che puoi far finta di niente sulla posizione in classifica”.
Galli, tra Baggio, Totti e Del Piero chi avrebbe voluto come numero dieci nella sua squadra?
“Come si fa a rispondere? Sono tre fenomeni! Baggio è la classe, ma anche Totti e Del Piero. Soltanto vedere i gol che hanno realizzato questi campioni ti fa capire qual è la loro esatta dimensione. Metterei i tre nomi in un barattolo e tirerei a sorte, perchè farei davvero fatica a scegliere”.
Ibrahimovic ha dominato così tanto in serie A con Juventus, Inter e Milan perchè il livello del gioco si era abbassato rispetto agli anni precedenti?
“Ibra è sinonimo di vittoria. Se lei mi dicesse: ‘Galli prenda questa squadra e noi vogliamo lottare per lo scudetto’. Io a quel punto il primo nome che metto nella mia lista è Ibrahimovic. Chi vuol vincere un campionato deve prendere Ibra, anche se è vero che è di difficile gestione, che è un carattere forte e di grande personalità, ma è un vincente. E’ più facile trionfare con Ibra che non con i tre numeri 10 citati prima, anche se il talento assoluto lo avevano loro, i Baggio, Totti e Del Piero”.
Sarri non allena una big per la sua comunicazione?
“No, ci stiamo sbagliando perchè il Napoli è una big. Lui non guarda l’estetica ma guarda alla pratica. Io Sarri quando facevo il direttore sportivo a Verona l’ho portato nel lontano 2009. E so qual è lo spessore dell’uomo e del tecnico. Io ho grande stima per lui ed è un grandissimo allenatore. Chi se ne frega della cravatta. Nel suo lavoro è uno dei più bravi in circolazione”.
Qual è stata la partita più bella e quella peggiore della sua carriera?
“Forse la più importante è stata quella di Belgrado, contro la Stella Rossa, dove parai dei calci di rigore che ci permisero di superare il turno e da lì iniziò poi la storia del Milan di Berlusconi. La peggiore sotto il profilo della critica direi che fu quella col gol di Maradona ai Mondiali. Ma non importa”.
Che ricordi ha della Fiorentina di Cecchi Gori?
“Cecchi Gori ha regalato delle gioie infinite a Firenze. Ha comprato e ha portato dei campioni straordinari e mi è dispiaciuto molto quando lo hanno fatto fallire. La Roma e la Lazio erano in condizioni finanziarie disperate e sono state salvate, spalmando il debito. Cecchi Gori è stato un presidente vulcanico e che sprizzava gioia, anche commettendo degli errori ma erano tutti fatti con la passione e con il cuore”.
Messi e Ronaldo cinque Palloni d’Oro a testa: si può scegliere il migliore al mondo?
“Anche per questi due si fa molta fatica. Uno è un giocatore sublime per la tecnica, per la qualità e mi riferisco a Messi. L’altro ha forza, è un ‘animale’ sportivo, molto attento al suo fisico e salutista. Sono attaccanti che viaggiano a 50 gol a stagione, non so davvero come facciano. E segnano le reti pesanti nelle finali delle rispettive squadre di club e nazionali, per cui dammi chi ti pare tra Messi e Ronaldo e poi altri dieci…”.
Si ringrazia Giovanni Galli per la cortese disponibilità.
Intervista a cura di Francesco Montanari e Massimiliano Riverso