L’estate scorsa, per un certo periodo, era stato considerato tra i papabili per la successione di Allegri alla Juventus. Proprio lui, che forse ha saputo incarnare l’ “interismo” meglio di ogni altro allenatore. Poi non se ne è fatto nulla ma alla fine, una panchina importante, José Mourinho l’ha trovata.
Più volte dato per bollito o superato, lo Special One è ancora lì dopo 15 anni di calcio vissuto ad altissimi livelli. Il Tottenham è anche la settima vita da allenatore top di Mourinho: una cifra quasi simbolica della sua longevità.
Josè Mourinho, uno special per tutte le stagioni
Quindici anni ad altissimi livelli. Quindici anni di trionfi ma anche di tonfi, di scontri e piazzate, di litigi e provocazioni. Ripercorriamo la carriera di José Mourinho anche in grafica, per capire come ha fatto a scalare l’olimpo del calcio e rimanerci a lungo, con l’ostinazione di un uomo in missione.
Come si diventa Special One
Il carisma
Guardandolo recitare la sua parte nel grande teatro del calcio del calcio che conta, la cosa più facile che possa capitare è farsi un’idea sbagliata di lui. Mourinho può apparire un figo che sa un po’ troppo di esserlo, o un pallone gonfiato, o un presuntuoso. Comunque, il classico uomo pieno di sé. Eppure, leggendo la sua storia, si comprendono elementi essenziali, nella genesi dello Special One. Figlio di un calciatore professionista e a sua volta contagiato dalla febbre per il calcio, José capisce presto che quella di giocare non è la sua strada, mentre il naturale carisma lo attrae da subito verso un ruolo di leader e tattico, ma fuori dal campo. C’è gente che si brucia anni preziosi rincorrendo illusioni, invece il giovane José dimostra subito di avere una grande consapevolezza di sé, dei propri limiti e delle proprie qualità.
L’empatia
Tra queste qualità ce n’è una che è davvero fondamentale, sia nella carriera da allenatore che in quella di “personaggio”, ed è l’empatia. Da giovane laureato in Scienze Motorie, José Mourinho non passa il suo tempo solo ad allenare i ragazzi ma anche lavorando a scuola in progetti che coinvolgono bambini anche disabili. Il tecnico portoghese ha sempre ritenuto la possibilità di entrare a contatto con questo tipo di umanità come un’esperienza fondamentale, per l’arricchimento che porta quella necessità di uscire da sé, ascoltare, dare affetto e attenzione. Questo aspetto mi è tornato in mente qualche giorno fa, prima con l’abbraccio e poi con l’iniziativa dell’invitare a pranzo, insieme alla squadra, il raccattapalle che aveva “favorito” il gol del momentaneo pareggio nel fondamentale match di Champions League con l’Olympiakos (poi vinto).
Lì ho avuto la sensazione che questo Josè Mourinho sia in qualche modo tornato quello “originale”, che sapeva fare la cosa giusta al momento giusto. Avere una ottima empatia, tra le altre cose, affina la sensibilità a vari livelli. Per esempio ti dà la capacità di capire subito chi ti sta di fronte, cosa vuole da te, cosa vuole sentirsi dire, cosa puoi fare per entrare nelle sue grazie. La sua grande dimestichezza con le lingue (ne parla correttamente 6) ha fatto il resto.
La comunicazione è special
Si pensi ad esempio al “Non sono un pirla” pronunciato in una delle sue prime conferenze stampa da allenatore dell’Inter. Il suo periodo italiano è molto indicativo della straordinaria capacità dello Special One di calarsi in una realtà, comprenderla e adeguarsi velocemente. La “prostituzione intelectuale”, la gag su Lo Monaco e il tormentone dei “zero tituli”, presente ancora oggi nella fraseologia comune, sono esempi dell’enorme talento comunicativo dell’uomo da Setubal.
La grande abilità di Mou nella comunicazione non si concretizza solo in frasi ad effetto e citazioni memorabili, ma gli ha permesso di proporsi come modello di successo personale, dunque come testimonial ideale per qualsiasi azienda – meglio di alto profilo (AmericanExpress, Jaguar, Hublot tra gli altri).
Trovati un nemico e…
Un altro aspetto del “being Josè Mourinho” è la necessità di identificare sempre un nemico e, se non esiste, inventarselo. In questo senso, i bersagli più frequenti sono da sempre i colleghi: da Wenger a Benitez fino a Ranieri e Conte, le schermaglie verbali sono una specialità della casa. Con alcuni l’antipatia è vera, genuina e forse insanabile, con altri è solo una parte dello show e cela un grande rispetto. Assecondando il personaggio che ho delineato, si potrebbe pensare che queste “tecniche di distrazione di massa” siano usate da Mou quando si trova in difficoltà. Non è così: le schermaglie con i colleghi ci sono sempre state, sia quando le cose gli andavano benissimo, sia quando andavano malissimo.
Quanto vale il Mourinho allenatore?
In chiusura non posso esimermi da una questione anche se essa è destinata a rimanere senza risposta, o perlomeno sospesa: quanto vale José Mourinho come tecnico? Il portoghese non si è mai proposto come un innovatore del gioco, non ha mai avuto le stimmate di un Sacchi o di un Guardiola. Volendolo collocare nell’ormai classica dicotomia tra giochisti e risultatisti, lo Special One pende sicuramente da quest’ultima parte ma non arriva all’estremo. Volendo giocare ancora coi neologismi, potremmo definirlo un “sostanzista”.
Uomo di sostanza
Le sue squadre hanno sempre poggiato su una grande solidità difensiva e un ottimo gioco di posizione, per poi modellarsi sulle caratteristiche dei singoli. La sua Inter era una squadra con interpreti straordinari, che non offriva un calcio avveniristico ma aveva grande equilibrio. I lanci lunghi per Milito, la sua grande abilità nel gioco di sponda e la qualità dei trequartisti facevano il resto.
Real poco real
Mourinho portò questa impostazione del 4-2-3-1 anche al Real Madrid, con un coinvolgimento più costante dei terzini e in generale delle fasce laterali. La cosa non piacque moltissimo né ai giocatori né al pubblico, abituato ad altri canoni estetici. Forse anche per questo la scintilla non scoccò mai davvero e quella madrilena si può considerare il suo primo parziale fallimento.
Al Porto aveva fatto un mezzo miracolo riuscendo a trovare i giocatori giusti da motivare, al Chelsea e all’Inter aveva squadre fortissime che era riuscito a portare al successo. Al Real invece ecco la mezza cilecca, accentuata da cosa successe ai Blancos l’anno seguente: con una rosa più o meno identica (dentro Bale e Isco, fuori Kakà, Ozil e Higuain), Carlo Ancelotti riuscì a conquistare l’agognata “decima”, la Champions League che tutti aspettavano e che in 3 anni di Mou non era mai arrivata.
Chelsea-bis, tracce di declino e nervi a fior di pelle
Nelle due successive esperienze José Mourinho ha trovato condizioni leggermente differenti. Si trattava sempre di grandi società ma in fasi di rinnovamento. Né il Chelsea né poi il Manchester United avevano le caratteristiche per poter essere dominatrici incontrastate, ma i budget rimanevano sempre importanti. A Londra aveva a disposizione dei giovanissimi Salah e Lukaku, ma entrambi non trovarono spazio e vennero ceduti. Sul belga poi Mourinho si ricrederà, andandolo a ricomprare a peso d’oro nel suo secondo anno al Manchester United.
Pogboh
Se però al Chelsea, nonostante le frizioni e il nervosismo, era arrivato un nuovo titolo in Premier, dove la mano fatata di Mou sembra arrugginita è al Manchester United. Grandi spese come i 105 milioni di euro per Paul Pogba e gli 85 per lo stesso Lukaku, senza dimenticare i 42 per Mkhitaryan, ma un gioco che non decolla e i nervi che saltano ancora di più, e con tutti: società, stampa e giocatori. Soprattutto un equivoco tattico mai superato: Paul Pogba. Con l’ex juventino Mou non si è mai preso, non ha forse mai compreso come utilizzare l’enorme talento del francese e sicuramente quest’ultimo ci ha messo anche del suo. Rimane il fatto che lo United di Mourinho era davvero brutto da vedere e sicuramente è questa l’esperienza più negativa della sua carriera. Tuttavia anche qui Mou è riuscito a dare un eccellente colpo di coda, con la conquista dell’Europa League.
Cosa dobbiamo aspettarci dal Tottenham di Mourinho?
Seconda domanda più difficile dopo quella sul valore assoluto del tecnico portoghese. Di sicuro l’anno di pausa ha fatto bene a José Mourinho, che si è rigenerato ed è parso calarsi subito nella nuova realtà. Al di là dello schieramento e degli stili di gioco, se Mou ritroverà quella empatia e quella grande sensibilità di campo, allora avremo un altro capitolo special da raccontare.
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