31 anni, 29 trofei, una rivoluzione copernicana. L'eredità del Milan di Silvio Berlusconi
31 anni, 29 trofei, una rivoluzione copernicana. L'eredità del Milan di Silvio Berlusconi

31 anni, 29 trofei, una rivoluzione copernicana. L’eredità del Milan di Silvio Berlusconi

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Il 13 aprile Silvio Berlusconi e il gruppo Fininvest hanno ceduto, 31 anni dopo averle acquistate, il 99,93% delle quote del Milan. Per i rossoneri – e per la Serie A – è la fine di un’era

Ci sono presidenti che vanno e vengono senza che ce ne si accorga e ci sono presidenti il cui solco è destinato a rimanere bene impresso nella memoria collettiva anche a distanza di decenni.

Silvio Berlusconi protagonista indiscusso nella storia del calcio milanese, italiano e mondiale rappresenta già un elemento di spicco della seconda categoria. 31 anni di Milan, 29 trofei e un’idea rivoluzionaria: portare la propria genialità imprenditoriale nel mondo del calcio e non limitarsi a rendere il club rossonero la squadra più vincente al mondo, modello iconico del concetto stesso di successo, ma creare un vero e proprio brand da esportare e – per chi ne sia in grado – imitare.

È il 20 febbraio 1986 quando Berlusconi si insedia come presidente rossonero: per lo sport italiano è l’inizio di una nuova era. Immagine, comunicazione, marketing e – soprattutto – una pioggia di trofei. Il Grande Milan si affaccia sul palcoscenico del calcio mondiale.

Riascoltare a distanza di trentuno anni l‘intervista rilasciata da Berlusconi a pochi giorni dall’insediamento sulla poltrona rossonera lascia a bocca aperta. È molto più che una semplice profezia. È la sensazione di una visione nitida e cristallina di quello che sarebbe successo di lì a poco.

Ci sono proprietà che hanno bisogno di lustri per aprire un ciclo. Quel Milan, raccolto sull’orlo del fallimento, nell’arco di tre anni è già sul tetto d’Europa e del mondo.

Il 1986/87 si chiude con un quinto posto. L’anno dopo arriveranno Arrigo Sacchi e il primo Scudetto della nuova proprietà dopo una clamorosa rimonta sul Napoli di Maradona nell’ultima parte del girone di ritorno. Il 1988/89 è l’anno dell’apoteosi, con il 4-0 leggendario alla Steaua Bucarest nella finale di Coppa dei Campioni al Camp Nou. Il 1989/90 vedrà il bis europeo (1-o al Benfica), accompagnato dai trionfi in Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale. Il Milan è già leggenda.

Chiuso il quadriennio con Sacchi, nel 1991/92 in panchina siede Capello, che vince quattro Scudetti in cinque stagioni, una Coppa dei Campioni (nello storico 4-0 di Atene al Barcellona), tre Supercoppe Italiane e una Supercoppa Europea. Nasce il Milan degli Invincibili (zero sconfitte nella prima stagione del tecnico friulano, 58 gare di fila senza k.o. a cavallo di tre annate 1991-1993), meno dominante in Europa ma senza rivali in Serie A.

Con l’addio di Capello alla fine della stagione 1995/96, coincisa con la vittoria del quindicesimo Scudetto rossonero, si chiude forse l’epoca del vero Grande Milan berlusconiano, ma le vittorie non si sono ancora esaurite.

Dopo due annate difficili concluse dalla parte destra della classifica, nel 1998/99 arriva un altro tricolore con Zaccheroni, anche se i fasti – soprattutto europei – del periodo a cavallo fra anni Ottanta e Novanta sono solo un ricordo.

Per ritrovare il Milan sul tetto d’Europa bisogna aspettare il 2002/03. È l’inizio del ciclo di Ancelotti, che alla sua seconda stagione in rossonero vince Champions League e Coppa Italia. L’anno successivo arrivano lo Scudetto e Supercoppa Europea.

In molti parlano di un ritorno del Milan ai suoi livelli più alti di sempre, ma la sensazione a posteriori è che quella squadra non sia riuscita a capitalizzare quanto avrebbe potuto. L’eliminazione ai quarti finale contro il Deportivo La Coruña nella Champions 2003/04 (4-0 al Riazor dopo aver vinto 4-1 all’andata) e la drammatica rimonta subita nella finale di Istanbul contro il Liverpool bruciano ancora e alimentano i rimpianti su ciò che quel Milan avrebbe potuto diventare e che invece non è stato.

L’ultimo colpo di coda è la Champions 2006/07, vinta da outsider e poi coronata dalla Coppa del Mondo per Club nel dicembre 2007, che vale al Diavolo il titolo di “club più titolato al mondo”.

Sono gli ultimi grandi trionfi internazionali, ma più circostanziali dei precedenti. Il Milan non è più nel gotha del calcio europeo e nemmeno lo Scudetto conquistato nel 2010/11 con Allegri riesce a dare nuova spinta a una squadra ormai sopravanzata dalla Juventus nel panorama italiano e all’estero dalle grandi superpotenze di Premier, Liga e Bundesliga, con le quali non riesce più a competere, soprattutto economicamente.

La vittoria in Supercoppa Italiana dello scorso dicembre interrompe un’astinenza di quattro stagioni senza titoli e regala l’ultimo trofeo al presidente Berlusconi. È allo stesso tempo il capitolo che chiude un’era, la più gloriosa della storia rossonera, e ne apre una nuova, quella di Yonghong Li e della sua cordata.

Per la nuova proprietà confrontarsi con la storia degli ultimi trent’anni di Milan è uno stimolo e un fardello.

“Vogliamo tornare numeri 1 al mondo” ha detto Yonghong Li nel giorno del suo insediamento. Difficile pronosticare dove potremo ritrovare il Milan da qui a tre anni.

Quello che è certo è che se si guarda indietro, più delle critiche, dei momenti difficili e degli errori degli ultimi anni, quello che resta sono i volti dei campioni e le vittorie che hanno permesso al Milan di scrivere un pezzo fondamentale di Storia del Calcio.

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