Chi spende tanto, chi spende male, chi investe sui giovani e chi non lo fa: radiografia di un decennio di calcio
Chi spende tanto, chi spende male, chi investe sui giovani e chi non lo fa: radiografia di un decennio di calcio

Chi spende tanto, chi spende male, chi investe sui giovani e chi non lo fa: radiografia di un decennio di calcio

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Si sta per concludere un decennio che non ha particolarmente sorriso, al calcio italiano. Iniziati con il Triplete dell’Inter, che sembrava foriero di una nuova era fatta di dominio azzurro nelle competizioni internazionali, gli anni ’10 sono tuttavia proseguiti all’insegna di equilibri nuovi, che hanno visto l’asse del calcio vincente spostarsi prima in Liga e poi in Premier League. Grazie a uno interessante studio del CIES, possiamo provare a spiegarne alcune ragioni con numeri e statistiche.

Un decennio di calcio: gli anni 2010 ai raggi X

Chi ha speso di più e chi meno, ma non solo. Questo complesso e interessantissimo report del CIES ci dice molto riguardo alle politiche dei vari club: numero, provenienza ed età media dei calciatori acquistati, ma anche il rapporto col territorio e molto altro. Ecco una sintesi in grafica:

Genoa, in 205 per non retrocedere (e fare profit)

Si tratta forse del dato più impressionante dell’intero studio, insieme a quello opposto che comunque rappresenta un esempio quasi unico (l’Athletic Bilbao). Ad ogni modo, 205 diversi giocatori hanno vestito la maglia del Genoa tra il gennaio 2010 e la metà di novembre di quest’anno. Un dato che, incrociato con il saldo economico di compravendita calciatori degli stessi anni (+193 milioni di euro), la dice lunga su quanto spregiudicata sia la strategia della società di Preziosi. Una strategia che paga, nonostante risultati sportivi non certo esaltanti, anche per la netta involuzione del nostro calcio. Negli anni ’10 il prodotto-calcio italiano si è molto deprezzato e le istituzioni calcistiche non hanno saputo dare risposte convincenti. Così il nostro è ancora un calcio dove vige la dittatura dei diritti tv, e chi non ha le fette più grandi si arrangia come può. C’è chi si arrangia creando valore in campo (si pensi all’Atalanta) e chi, come il Genoa, è praticamente una vetrina di un negozio in continua promozione.

Roma, Babele d’Europa

Tra i dati più curiosi emersi nell’ultimo decennio di calcio c’è la mappa della provenienza dei calciatori acquistati. Fatto salvo il Bilbao per le note ragioni, sull’altra sponda c’è la Roma. Il club giallorosso è tra quelli che hanno ingaggiato il numero più elevato di calciatori, ma è imbattibile in quanto a numero di nazionalità rappresentate: ben 37!

L’altra faccia di questa medaglia è quella più sentita, anche da stampa e tifosi: “l’italianità” dei club italiani. Se la multinazionale per eccellenza è l’Arsenal (con l’84% dei minuti concessi a giocatori non inglesi), i club nostrani si distinguono anche in questa categoria. L’Inter è seconda, l’Udinese quinta, mentre Napoli, Lazio, Roma e Fiorentina occupano tutte un posto in top 10. Parziale eccezione in questo è la Juventus, che ha schierato in misura praticamente uguale giocatori italiani e stranieri (50,8%).

L’Italia e l’usato sicuro

Altro dato che fotografa una parte dei problemi patiti dal calcio italiano (e qui entrano in gioco anche le difficoltà vissute negli anni recenti dalla Nazionale) è quello dell’età media. Sia guardando l’età media di chi è sceso in campo nell’ultimo decennio, sia quella degli acquisti effettuati nello stesso periodo, le squadre italiane sono regolarmente quelle che puntano più di tutte su giocatori “maturi”. Al contrario, francesi e tedesche sono le società che più di tutte investono sui giovani. Certo non vediamo molte squadre di Francia e Germania dominare le coppe internazionali, ma si tratta di una politica che paga sul medio-lungo periodo. Dall’altra parte investire su giocatori “fatti” ha aiutato la Juventus a mettere a segno un filotto di scudetti, ma pare la strategia non abbia pagato altrettanto in Europa.

Vivai: Bilbao e Man City, due modi opposti di fare calcio. Ma l’Italia…

Abbiamo già detto e scritto che l’Athletic Bilbao è un caso raro, quasi unico, di società “autoctona”. Il club basco, per scelta ma anche per ragioni che si intrecciano con la storia e la politica, ha da sempre regole ferree sulla provenienza dei propri calciatori. Non è dunque una sorpresa trovarla in testa alla classifica delle società che hanno in rosa più giocatori provenienti dalle proprie giovanili. Una scelta difficile che comunque paga, perché ad oggi il Bilbao è tra le tre società spagnole mai retrocesse in seconda serie. Le altre due sono Barcellona e Real Madrid…

All’estremo opposto c’è il Manchester City. Da quando sono stati rilevati dagli emiri, i Citizens sono rapidamente arrivati ad essere “contender” per i massimi livelli del calcio nazionale ed europeo. Come ci sono arrivati? In realtà la risposta è piuttosto semplice: spendendo oltre un miliardo di euro. La politica dei vivai prevede pazienza, capacità di seminare e attendere, tutti verbi poco digeribili dalle parti di Dubai. Così il City ha messo a punto una strategia semplice quanto spregiudicata, nell’aggirare le regole (in verità piuttosto timide) del Fair Play finanziario: spendere tantissimo. Il risultato? Ben 13 trofei, tutti nazionali. Non che la Premier League sia una competizione di secondo piano. Ma in un decennio di calcio, dopo avere speso vagonate di denaro, una sola semifinale di Champions League è davvero poca cosa.

A margine, non si può non considerare che una condotta analoga a quella del City è stata adottata da molti club italiani. Tolto il club inglese in vetta, le altre 4 società che si distinguono per l’aver concesso poco o nessuno spazio ai giocatori provenienti dalle proprie squadre giovanili sono tutte italiane: Inter, Udinese, Lazio e Fiorentina. La tendenza comprende anche Juventus, Napoli e Genoa, tutte e tre in top 10.

Chi spende tanto, chi spende poco, chi spende male…

Si diceva del City che ha speso tanto, tantissimo, nell’ultimo decennio. Le sontuose campagne acquisti non hanno avuto risultati apprezzabili fuori dai confini nazionali, ma c’è chi è riuscito a fare peggio. Ad esempio il Milan, che è riuscito a spendere moltissimo ma vincendo solo uno scudetto e due supercoppe italiane. Non a caso l’ultimo decennio di calcio, per i tifosi milanisti, non è certo tra quelli da ricordare con maggiore orgoglio.

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