Si fa presto a dire “ex arbitro”. Un po’ come si diceva per i carabinieri e per altre professioni che necessitino una qualche vocazione, anche per i direttori di gara vale lo stesso adagio: chi è stato arbitro, lo è per sempre.
Anche per questo Luca Marelli non ha mai smesso di interessarsi al mondo dei fischietti, da quando varie vicissitudini lo condussero ad interrompere la carriera di arbitro di Serie A. Oggi, dopo aver alternato varie vite professionali sempre a caccia di nuovi stimoli, l’avvocato comasco è diventato uno degli opinionisti più ascoltati del settore. Lui si concede volentieri per una opinione a radio, televisioni, semplici follower, sempre con enorme generosità e con un pizzico di vanità – che non guasta.
Soprattutto, però, si concede con pazienza, tranne nei casi in cui qualcuno ne mette in dubbio la genetica imparzialità. Anzi, se non volete farvi bannare dai suoi profili social, il consiglio è di non stuzzicarlo su questo aspetto.
In qual modo secondo te il VAR sta aiutando il settore arbitrale e come potrebbe venire migliorato?
Partiamo da un presupposto fondamentale: il VAR è contestato da una minoritaria percentuale di tifosi ed addetti ai lavori per partito preso. I risultati oggettivi sono eccezionali: una decina di errori su oltre mille episodi sottoposti a check, 50 episodi valutati in modo errato e modificati con l’utilizzo della tecnologia.
Ciò significa che gran parte degli errori che avrebbero potuto influire concretamente sul risultato finale sono stati corretti con l’utilizzo degli “on field review” o con le rilevazioni di fuorigioco. L’impatto sul campionato è senza alcun dubbio di enorme positività ed i benefici non si limitano a ciò: sono praticamente sparite le proteste in campo, non è mai stata utilizzata la prova tv per sospendere giocatori resisi colpevoli di condotta violenta, ogni decisione degli arbitri viene accolta con serenità (tranne qualche rara eccezione, fisiologica). Sicuramente lo strumento potrà essere migliorato, ricordiamoci sempre un aspetto fondamentale: siamo ancora in una fase di sperimentazione che, per definizione, non rappresenta l’approdo definitivo dell’utilizzo.
In particolare, se mi vien chiesto (come spesso accade) in cosa modificare la strutturazione del VAR, rispondo convintamente che il protocollo andrebbe modificato in merito alla dizione di “chiaro errore”, espressione che, ad un primo impatto, potrebbe apparire ben catalogata ma che, nella realtà, significa tutto e niente. A mio parere, come più volte affermato fin dalla scorsa estate, la scelta dovrebbe ricadere su una dizione più corretta di “possibile errore”, che lascerebbe un maggior margine decisionale all’arbitro centrale, oggi troppo vincolato ad un intervento dei VAR sulla base di un errore già qualificato come “chiaro”.
Per qualcuno la tecnologia applicata allo sport è un problema. Si rischia davvero di “disumanizzarlo”, secondo te?
La tecnologia è ormai parte della nostra vita, in qualsiasi ambito. Per questa conversazione abbiamo usato un telefono cellulare, chi scrive utilizza un computer, chi pubblica si avvale di server ed internet. Pensare che, in pieno ventunesimo secolo, la tecnologia potesse rimanere ancora al di fuori di un fenomeno globale come il gioco del calcio è perlomeno anacronistico. Non è certo un caso che alcuni sport abbiano introdotto la tecnologia di review già da molti anni. E’ vero, sono sport differenti dal calcio (penso al basket, al tennis od alla pallavolo) ma è anche vero che abbiamo a disposizione tecnologie più che sufficienti per poter iniziare un percorso che porti ad eventi sportivi non più decisi dall’errore dell’uomo ma dalle qualità dei giocatori. Un fattore umano, peraltro, ci sarà sempre: il calcio è uno sport di contatto e, dunque, rimarrà sempre fondamentale la valutazione dell’arbitro perché è impossibile codificare tutti i contatti, evidenziando con certezza quelli regolari da quelli irregolari.
Propongo qualche esempio: un contrasto spalla contro spalla può essere regolare o irregolare, dipende da mille fattori; un tocco di mano può essere punibile o non punibile, dipende da mille fattori; un tackle può essere regolare od irregolare, dipende da mille fattori. E potrei andare avanti per ore con gli esempi.
Il punto focale su cui insistere è il seguente: il VAR NON È la moviola in campo, sono due concetti con alcune similitudini ma con caratteristiche molto distanti. Il VAR serve ad evitare errori evidenti, sviste, abbagli, episodi andati perduti all’arbitro centrale. La moviola serve per valutare un episodio e, spesso, le valutazioni in merito cambiano sulla base della soggettività di chi osserva. Anche gli arbitri hanno metri valutativi differenti e ciò è assolutamente normale: sono esseri umani, è impossibile che abbiano tutti i medesimi parametri. Se così fosse, non sarebbe umani ma robot ed il cielo ci scampi da giudici automatizzati…
Ma gli stili arbitrali “all’inglese”, “all’italiana” eccetera esistono e sono riconoscibili in qualche modo?
Sono classificazioni che ho sempre rifiutato per un semplice motivo: per tutti gli arbitri del pianeta esiste un solo ed unico regolamento e quel regolamento son tutti tenuti a rispettare. Possiamo, al limite, pensare ad un metro di giudizio differente tra una nazione ed un’altra, con una soglia di “fallo” più elevata nel mondo anglosassone rispetto a quella dei campionati latini. Si tratta, in ogni caso, di luoghi comuni: in Inghilterra si chiede a volte un metro più latino, in Italia si invoca spesso un metro più anglosassone. In realtà ogni arbitro ha un suo stile di arbitraggio: così come in Italia esistono arbitri con una soglia più alta, allo stesso modo esistono arbitri inglesi con una soglia più bassa.
Per quale motivo un giovane dovrebbe guardare con interesse a una carriera da arbitro?
E’ un argomento che richiederebbe ore di approfondimento, difficile sintetizzare un concetto così complesso in poche parole. Solitamente, quando affronto temi di questo genere, mi baso sulla mia personale esperienza: ebbene, se dovessi tornare indietro nel tempo con la possibilità di cambiare qualcosa della mia vita, mai e poi mai rinuncerei all’esperienza arbitrale. Gli anni passati sui campi hanno profondamente influito non solo sulla mia vita professionale ma sulla mia vita nel complesso: mi ha formato caratterialmente, mi ha insegnato il valore del sacrificio, mi ha consentito di conoscere migliaia di persone e centinaia di luoghi in Italia ed in Europa, mi ha concesso la fortuna di confrontarmi con culture differenti, ambienti di ogni tipo. Ebbene sì: se un giovane mi chiedesse un solo consiglio per rendere la propria vita più completa, lo spronerei a provare l’ebbrezza di indossare la divisa da arbitro. Non è certo un caso che, a 45 anni, la passione per il regolamento e per l’attività arbitrale in particolare sia forse più viva di quando ero diciottenne con le idee ben poco chiare sul futuro.
Quali sono gli aspetti più affascinanti della vita da arbitro, e quali i maggiori sacrifici che richiede?
Per quanto concerne l’aspetto più bello della mia esperienza arbitrale ho già risposto. Per contro non si possono sottacere i sacrifici. Sacrifici che, in ogni caso, non sono per forza espressione negativa: è vero, spesso saltavo serate con gli amici perché il mattino dopo sarei stato impegnato in una direzione ma, allo stesso tempo, ho potuto imparare velocemente che il divertimento di una serata è passeggero mentre quel che si impara in campo rimane per tutta la vita. In qualche momento è capitato di rimpiangere tanti sabato sera chiusi con una pizza e poi a letto presto. Oggi, con la maturità e la consapevolezza di quel che è stato, non rimpiango nulla ed anzi ringrazio il destino di avermi evitato inutili serate di alcool e sballi. Son ben consapevole che possa apparire un discorso populista e di luoghi comuni. Lo pensavo anche io quando avevo 18 anni…
Oggi chi è, secondo Luca Marelli, il migliore arbitro al mondo?
Non è facile individuare il miglior arbitro del mondo. Non tanto perché oggi non ci siano fuoriclasse assoluti ma per il concetto espresso in precedenza: ogni direttore di gara ha un proprio stile, ciò che lo rende differente e non comparabile con altri. Se proprio dovessi scegliere, indicherei quelli che, al momento, mi paiono i tre migliori: l’argentino Pitana, l’italiano Rocchi e lo sloveno Skomina. La finale del mondiale potrebbe essere diretta dall’uzbeko Irmatov che non rientra nei miei preferiti (sebbene si tratti di arbitro di grandissimo talento). Qui dovremmo aprire una lunga parentesi per spiegare le dinamiche che portano alla scelta del direttore di gara per una competizione internazionale…
Aggiungiamo un po’ di pepe: l’arbitro più sottovalutato e quello più sopravvalutato.
Altrettanto complesso indicare un arbitro sopravvalutato ed uno sottovalutato. Diciamo che non amo particolarmente (per usare un eufemismo) il tedesco Brych. Tra i sottovalutati non saprei, forse potrebbe essere più considerato Orsato che, a livello internazionale, non gode ancora della medesima credibilità guadagnata in patria.
Un tempo la simulazione appariva come una usanza tutta italiana, ma oggi si vedono tuffi carpiati anche in Premier League e in altri campionati esteri. Cosa pensi?
Penso che la globalizzazione non riguardi solo il commercio o la politica ma anche i comportamenti degli sportivi…
Finisce qui la nostra chiacchierata con l’ex arbitro Luca Marelli, sperando di aver contribuito a chiarire alcuni concetti importanti. Il Var è un’aggiunta dall’alto potenziale per il nostro mondo, compreso il delicato discorso relativo alle scommesse sul calcio, che eventuali decisioni (annullamento di un gol, assegnazione di un rigore allo scadere etc) possono influenzare non poco. Ne riparleremo più avanti.