Addio Paolo Rossi: la leggenda di Pablito in 7 parole chiave
Addio Paolo Rossi: la leggenda di Pablito in 7 parole chiave

Addio Paolo Rossi: la leggenda di Pablito in 7 parole chiave

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Due settimane dopo Diego Armando Maradona, il calcio piange un altro grande simbolo. La notte scorsa si è portata via Paolo Rossi, l’indimenticabile “Pablito” eroe italiano del Mundial ’82. Uno straordinario esempio di semplicità, umana ma anche sportiva, per il modo essenziale con cui riusciva ad essere decisivo.

Paolo Rossi: 7 parole per spiegare la leggenda di Pablito a chi non la conosce

C’è stato un periodo in cui l’idea stessa di “Italia” coincideva con quella di “Paolo Rossi”. Un periodo in cui ogni italiano, a qualunque latitudine si trovasse nel mondo, si sentiva immancabilmente dire “Italiano? Paolo Rossi!”, perché è così che funzionava. Difficile spiegarlo a chi non c’era, o a chi non ha vissuto il fenomeno “Pablito” per ragioni anagrafiche. Anche per questo abbiamo pensato a 7 parole chiave per descrivere Pablito a chi non lo conosce, o magari lo ha appena sentito nominare.

1. Centravanti

Paolo Rossi ai tempi del Vicenza, quando venne trasformato in centravanti da GB Fabbri (Getty Images)

Paolo Rossi nacque come ala, con tecnica e velocità degne di un’ala. La sua trasformazione in centravanti si deve a una grande intuizione di Giovan Battista Fabbri, suo tecnico ai tempi del Vicenza. Lui lo ripagò con un titolo di capocannoniere in Serie A, nel 1977/78, con 24 gol. Nel dopoguerra solo Bobo Boninsegna e Giorgio Chinaglia hanno vinto la classifica cannonieri con così tanti gol, nei campionati a 16 squadre.

Paolo Rossi non era “fisicato”, ma proprio per questo dovette reinventarsi dei modi per sopravvivere in area di rigore. Con la grandissima intelligenza calcistica di cui disponeva, sviluppò una grande abilità nell’intuire dove va il pallone, nel leggere con qualche istante d’anticipo ogni minimo errore che stava per commettere il difensore di turno e tac, lo castigava. Spesso i suoi sembravano gol banali, ma il suo merito era proprio nell’aver capito che doveva stare lì, in quel punto esatto e farsi trovare pronto. Circa vent’anni dopo una tipologia di attaccante molto simile sarebbe stata interpretata da Filippo Inzaghi, ma Pablito aveva una tecnica di base nettamente superiore.

2. Nomignolo

I tempi del Mondiale 1978 in Argentina, quando nacque “Pablito” (Getty Images)

Contrariamente a quanto si possa pensare, “Pablito” non è un nomignolo nato con il vittorioso mondiale del 1982 ma quattro anni prima. Lui aveva appena vinto il titolo di capocannoniere in campionato, Enzo Bearzot lo aveva convocato per il mondiale in Argentina e lui lo aveva ripagato con 3 gol che lo fecero diventare “Pablito”. Ad affibbiargli quel nickname fu un giornalista italiano inviato in Argentina, Giorgio Lago, la cui intuizione non poteva essere più felice, visto il talento di Rossi nel riuscire a essere decisivo nonostante quel fisico mingherlino. Al tempo aveva 22 anni e sembrava che il futuro fosse tutto dalla sua parte, invece….

3. Reietto

Rossi al tempo del processo per lo scandalo Totonero, con Ilario Castagner (Getty Images)

Invece le cose si complicarono moltissimo per lui. Sembra strano a dirsi oggi, epoca in cui le scommesse sul calcio sono pienamente legali e possibili alla luce del sole. Ma al tempo non lo erano ancora e purtroppo c’era una realtà sotterranea di scommesse clandestine, legato al mondo della criminalità, che provava ad avvelenare il calcio. In una parola: Totonero. Paolo Rossi si proclamò sempre innocente anche molti anni dopo, e in tanti sono convinti della sua buona fede. Allora, però, dovette subire l’onta di due anni di squalifica. Una squalifica che lo colpì nel momento di massima ascesa, quando si avviava a diventare la punta di diamante della Nazionale nell’Europeo del 1980, un Europeo da giocare in casa.

Da possibile eroe, Pablito divenne un reietto. Per mesi non si sentì nulla di lui, mentre nell’ultimo anno della squalifica si fece viva la Juventus, che lo convinse ad allenarsi con la squadra per poi metterlo sotto contratto a fine squalifica. Paolo fece in tempo a rientrare in campionato e segnare anche un gol, mettendo la firma sulla conquista dello scudetto del 1981/82. Poi ci sarebbero stati i Mondiali di Spagna, ma la sua era diventata una posizione delicata.

4. Bearzot

Enzo Bearzot, l’uomo del destino per Pablito (Getty Images)

Enzo Bearzot non aveva mai smesso di credere all’innocenza di Paolo, oltre a credere fortemente nelle sue qualità sul campo. Ci credeva talmente tanto, il CT della Nazionale, da fare una scelta estremamente “unpopular”, che al tempo gli attirò una valanga di critiche: lasciare a casa Roberto Pruzzo, capocannoniere della Serie A nelle ultime due stagioni, portando in Spagna Paolo Rossi, reduce da appena 3 partite giocate negli ultimi 2 anni. Se le cose fossero andate male, Rossi e soprattutto Bearzot sarebbero stati massacrati. E le cose, inizialmente, non si erano messe affatto bene.

5. Risveglio

Italia-Brasile, la partita che cambia tutto (Getty Images)

Le prime tre partite sono da sudare freddo. Rossi è impalpabile, il suo contributo scarsissimo e in molti chiedono la sua testa, insieme a quella del CT. L’Italia supera il girone in maniera rocambolesca e non troppo dignitosa, con 3 pareggi su 3 partite e la qualificazione grazie a un gol segnato in più rispetto al Camerun. Gli azzurri finiscono in un girone di ferro, con l’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico. Sembra la fine, invece è solo un inizio un po’ più avventuroso.

Arriva il 2-1 sull’Argentina che sorprende tutti, ma per passare c’è bisogno di battere anche il Brasile. Un Brasile favoritissimo per la conquista della Coppa del Mondo. Pablito era apparso migliorato contro l’Albiceleste, ma era ancora fermo a zero gol. Con i verdeoro passano appena 5 minuti e la sblocca proprio lui, di testa  a incrociare un cross di Cabrini. Pablito punisce altre due volte il Brasile, sempre di rapina. Siamo in semifinale, Paolino torna sui titoli di tutti i giornali, italiani ed esteri, e non per critiche o attacchi ma per le imprese sul campo.

6. Eroe

L’apoteosi (Getty Images)

Si è come rotto un incantesimo, e adesso ci divertiamo. Con la Polonia in semifinale altri due gol da rapace d’area e così in finale con la Germania, quando Pablito apre le danze con un colpo di testa in mischia. Gli altri faranno il resto e siamo campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo.

Forse proprio il modo in cui Paolo Rossi è diventato leggenda, rende la sua storia indimenticabile e colpisce anche chi non l’ha vissuta in prima persona per ragioni anagrafiche. Da capro espiatorio designato ad eroe nazionale, un percorso romanzesco che simboleggia anche una certa abilità tutta italiana nel salire sul carro dei vincitori.

7. Sorriso

Quella di Paolo Rossi è una storia di redenzione, sportiva e umana. Nonostante egli si sia sempre proclamato innocente, l’opinione pubblica aveva deciso diversamente e, quando questo succede, sono guai. Paolino aveva solo una strada per riguadagnarsi la stima e riemergere da un fondo che sentiva di non meritare: ci è riuscito comunque. E ci è riuscito sempre con quel sorriso stampato in volto, un sorriso che è marchio di fabbrica come e più dei suoi tanti gol, perché indice di quella semplicità che era sua propria e che era anche fra i segreti del suo successo e della sua rinascita. Nelle migliaia e migliaia di foto che oggi sono pubblicate su siti e social, la costante è sempre quella: il sorriso. Lo stesso di chi ha sofferto, lo stesso che ha cercato di mantenere fino alla fine del suo percorso terreno.

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