Sappiamo già che mentre leggete queste parole siete già proiettati sulla finale di domani tra Matteo Berrettini e Novak Djokovic, la prima per un tennista italiano a Wimbledon. Non si può negare dunque che, per molti versi, la finale più bella sia quella che si deve ancora giocare. Tuttavia, come per ogni slam che si rispetti, ci siamo divertiti a raccogliere i momenti più indimenticabili regalati finora dalle finali dello slam più antico e storico. Ecco le 5 finali più belle nella storia di Wimbledon.
Finali di Wimbledon: le 5 più belle e indimenticabili
Il club delle finali bellissime di Wimbledon è molto lungo, e fare questa selezione è costato a chi scrive diverse ore di ricerca. Una fatica che è anche un piacere per gli occhi, perché dovere scegliere tra tanti capolavori di cui il campo centrale di Wimbledon è stato teatro non era affatto semplice. Queste, comunque, sono le 5 che abbiamo scelto.
Borg, la bellezza della rivoluzione
Oggi parliamo tutti di Wimbledon che ha campi molto più lenti rispetto a quelli del secolo scorso, campi che favoriscono i giocatori forti nei colpi di rimbalzo più che quelli abili nel gioco di rete. A metà egli anni ’70, però, fare ciò che fece Bjorn Borg con una Donnay in legno dal piatto piccolissimo, e sui campi scivolosi che l’All England Lawn Tennis and Croquet Club forniva al tempo, era qualcosa di davvero impensabile. Per certi versi il fuoriclasse svedese riscrisse le regole del tennis, perché mai prima di lui un giocatore aveva dominato Wimbledon da regolarista di fondocampo. Definire Borg un semplice regolarista sarebbe estremamente ingrato, ma certo fu lui a inaugurare una nuova stagione del tennis, e quella finale del 1980 – contro colui che forse rimane l’attaccante più puro mai visto su un campo da tennis – costituì una sorta di pietra angolare di quella rivoluzione.
Federer, la leggenda e un destino amaro
Tutti gli appassionati di tennis – e soprattutto di estetica nel tennis – fanno da anni il tifo affinché Roger Federer coroni il suo sogno di vincere il 21° Slam, e soprattutto il 9° Wimbledon. Probabilmente ciò non accadrà più perché alla carta d’identità non si può mentire, però è indicativo che uno dei giocatori più vincenti della storia venga ricordato per due finali perse. A ben vedere, sia quella del 2008 contro Nadal che quella del 2019 contro Djokovic sono partite di una bellezza struggente, in modi e per ragioni molto differenti. La verità è che da 3-4 anni è diventato sempre più difficile vedere Federer riproporsi ad altissimi livelli con la continuità e la resistenza fisica che un torneo del Grande Slam richiede. Nelle quote di Wimbledon 2021 Roger era considerato il terzo favorito, ma in questa valutazione c’era probabilmente un piccolo eccesso di ottimismo.
Ivanisevic e Williams, i ritorni inattesi
Se quello di Roger Federer è una sorta di caso limite, nella storia delle finali di Wimbledon ci sono state diverse storie di grandi ritorni, di riscosse da periodi difficili. Una di queste è la finale del 2005 tra Venus Williams e Lindsay Davenport, due emblemi del tennis femminile a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio di quello attuale. Con classe e caparbietà, Venus si riprese quello che infortuni e problemi vari le avevano sottratto.
Se però Venus Williams aveva già vinto dei tornei del Grande Slam prima di Wimbledon 2005 e altri ne avrebbe vinto anche dopo, per Goran Ivanisevic la finale di Wimbledon 2001 disegna il coronamento di un sogno nel quale ormai nessuno credeva più. Il croato si era costruito una nomea da grande potenziale campione, ma aveva spesso tradito le aspettative, o magari trovato di fronte tennisti semplicemente più forti (come l’Agassi del 1992 e due volte Sampras). A 30 anni suonati, con una classifica disastrosa (era n.125 prima del torneo) e una carriera avviata verso una parabola discendente con tantissimi possibili rimpianti, Goran si inventò un torneo fantastico, in barba agli esperti di scommesse che lo avevano ignorato. Il croato batté nell’ordine Moya, Roddick, Rusedski, Safin ed Henman prima della finale. Una finale memorabile contro un grande Pat Rafter e una cornice di pubblico irripetibile.
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