“The Last Dance”, perché la serie Netflix sui Bulls di Michael Jordan è imperdibile

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Da lunedì scorso sono disponibili su Netflix le prime due puntate di “The Last Dance”, docu-serie prodotto da ESPN che racconta una parte importante nella storia dei Chicago Bulls e di Michael Jordan. Ecco perché non dovete assolutamente perderla.

Su Netflix l’epopea di Michael Jordan e dei Chicago Bulls

Sapere cosa succede all’interno delle grandi squadre, composte da grandi campioni, è da sempre una delle più recondite curiosità di ogni appassionato sportivo. Grazie alla docu-serie “The Last Dance” abbiamo oggi una doppia straordinaria possibilità: entrare virtualmente nello spogliatoio degli epici Chicago Bulls di Michael Jordan, Scottie Pippen, Dennis Rodman e di coach Phil Jackson, nei loro allenamenti in palestra, nei contrasti e nelle discussioni. Soprattutto, meraviglia nella meraviglia, abbiamo la chance di farlo con il fascino sempreverde del ritorno al passato, oltre 20 anni dopo.

Perché “The Last Dance” è imperdibile

Alla riscoperta di His Airness

La prima e fondamentale ragione per cui “The Last Dance” esiste ed è un prodotto così attraente è rappresentata ovviamente da lui: Michael Jordan. Se siete appassionati di basket NBA avrete forse visto già più di un documentario sulla vita del grande campione nativo di Brooklyn ma cresciuto a Wilmington, nel North Carolina. Qui però troverete nuove storie, nuovi dettagli inediti, aneddoti che difficilmente avrete sentito prima.

Uno sguardo da insider… nel passato

Scopriamo oggi che nel 1997 ESPN ricevette dalla franchigia di Windy City il permesso di fare qualcosa che non si era mai visto prima, nello sport professionistico: riprendere ogni momento della vita sportiva di una grande squadra. Allenamenti, discussioni, interviste pre e post partita. Un segreto ben custodito per molti anni, in attesa di confezionare una serie come “The Last Dance”. L’ultimo ballo, appunto, del più forte giocatore di ogni epoca e di una delle più forti squadre mai esistite nella NBA.

La struttura narrativa

Come ogni docu-serie che si rispetti, anche “The Last Dance” alterna sapientemente i piani temporali. Non ci sono infatti solo immagini dell’epoca, ma anche interviste attuali ai protagonisti di allora, che aiutano moltissimo a rileggere e interpretare quanto accaduto a fine anni ’90. In tal modo si assume una tale quantità di punti di vista diversi, da comprendere come ciò che è effettivamente successo sul campo è solo l’ultimo anello di equilibri molto complessi, ma anche quanto siano state straordinarie certe performance di Jordan nel riuscire a forzare tali equilibri (si pensi ad esempio ai 63 punti segnati contro i Celtics).

La rilettura di alcuni avvenimenti

Nelle prime due puntate abbiamo assistito al racconto dettagliato del “dietro le quinte” di alcuni fatti cruciali, che accompagnarono l’ultima stagione vincente dei mitici Bulls. Nella prima puntata si svelano alcuni retroscena inediti dell’addio-non-addio di Phil Jackson. L’allenatore artefice dei 5 anelli vinti dalla squadra, insieme ovviamente a Michael Jordan, che era stato di fatto giubilato dalla dirigenza per rifare la squadra. Ma poi il secondo colpo di scena: Jackson rimane ancora un altro anno. Chi seguiva il basket a quel tempo ricorderà qualcosa, ma la dovizia di particolari con cui è raccontata qui è davvero unica. Nella stessa puntata c’è anche un richiamo ai primi playoff giocati da Jordan, in una stagione partita malissimo con il suo infortunio alla caviglia. Il ritorno – a mezzo servizio – di MJ contribuì a guadagnare l’ultimo posto disponibile per i playoff, ma ad attenderli c’erano i fortissimi Celtics di Larry Bird. Un primo turno vinto da Boston, ma in cui Jordan stabilì il famoso record di 63 punti segnati in una gara di playoff.

La seconda puntata parla invece della vicenda del contratto di Scottie Pippen e del suo conseguente addio che sarebbe avvenuto di lì a poco. Un quadro spietato ma molto realista, che racconta sia quanto sia difficile mantenere equilibrio all’interno di uno spogliatoio di quel livello, sia le contraddizioni del personaggio Pippen.

Nel terzo episodio la narrazione si concentra su altri grandi protagonisti di quegli anni, come Dennis Rodman. Il “Verme” era già stato durissimo avversario dei Bulls con i Detroit Pistons, e il suo arrivo a Chicago era destinato a prolungare la dinastia vincente. In un flashback si parla anche del famoso”shot”, che permise ai Bulls di vincere il primo turno playoff contro i Cleveland Cavaliers. Era il 1988 e i Bulls non erano ancora la squadra schiacciasassi che avrebbe dominato di lì a poco ed erano considerati nettamente sfavoriti, sia da tutti i pronostici che dalle quote sulle scommesse sportive. Ne uscirono grazie a un magico tiro di Jordan, sulla sirena di gara 5.

Fantastico per tutte le età

Le due vicende descritte qui sopra avevano fatto discutere anche all’epoca, ma i dettagli venuti fuori oggi grazie a “The Last Dance” sono in buona parte inediti. Anche per questo una docu-serie come questa risulta gradevole sia ai 40-50enni che ai 20enni. Chi c’era può ricordare e capire come andarono realmente le cose, chi non c’era ha la possibilità unica di vedere da vicino vizi e virtù di una delle più grandi squadre di ogni epoca.

Il cuore di MJ

Una ultima ragione per guardare “The Last Dance” è legata ancora a Michael Jordan e a un suo gesto da sottolineare. “His Airness” ha annunciato che devolverà in beneficenza l’intero guadagno che gli proverrà da questa serie. Gli esperti, anche in conseguenza degli ottimi ascolti fatti registrare negli USA dalle prime due puntate (delle 10 previste), quantificano questo guadagno almeno in 3-4 milioni di dollari.

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