La Danimarca e il trionfo a Euro 1992, quando la favola sportiva si intreccia con la Storia
La Danimarca e il trionfo a Euro 1992, quando la favola sportiva si intreccia con la Storia

La Danimarca e il trionfo a Euro 1992, quando la favola sportiva si intreccia con la Storia

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Siamo soliti considerare la vittoria della Grecia a Euro 2004 come una delle più grosse sorprese nella storia del calcio. Tuttavia, 12 anni prima, la rassegna del Vecchio Continente aveva regalato un’altra storia di quelle da raccontare. La storia della Danimarca vincitrice di Euro 1992.

Euro 1992, campionato marchiato a fuoco dalla Storia

Quando si parla dei Campionati Europei del 1992, si parla di uno degli eventi sportivi maggiormente influenzati dalla storia del proprio tempo. Certo c’erano stati eventi come il massacro alle Olimpiadi di Monaco 1972, la difficile situazione della finale di Coppa Davis 1976 e i boicottaggi incrociati sempre ai Giochi Olimpici, di Mosca e Los Angeles. Ma Euro 1992 era destinato a contenere in sé i segnali di ben 3 avvenimenti epocali: il crollo del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’impero sovietico e la guerra in Jugoslavia.

In una rassegna mancata clamorosamente dalla talentuosa Italia di Vicini (Baggio, Mancini, Vialli, Baresi, Maldini eccetera), per la prima volta si presentava una Germania non divisa tra Est e Ovest. Inoltre, in seguito della fine dell’URSS, il posto di quest’ultima tra le 8 qualificate alla fase finale veniva preso dalla cosiddetta CSI, Comunità degli Stati Indipendenti che assemblava rimasugli della vecchia madre Russia.

Se Germania e Russia erano comunque presenti, nonostante gli stravolgimenti storici e geo-politici, alla Jugoslavia era andata anche peggio. Erano infatti in pieno corso di svolgimento le Guerre dei Balcani, una serie di sanguinosi conflitti a matrice etnica e religiosa che avevano portato al distacco di Bosnia, Slovenia e Croazia. In conseguenza ci ciò la nazionale Jugoslava, prima che dissolta, era stata squalificata nonostante avesse vinto il suo girone. Al suo posto, ad appena 10 giorni dall’inizio del torneo, viene richiamata la nazionale che aveva concluso al secondo posto quello stesso girone: la Danimarca.

Peter Schmeichel solleva la coppa al cielo (Allsport UK)

Danimarca, la cenerentola ribelle

Una squadra richiamata in fretta e furia, in gran parte senza alcuna preparazione atletica, dovrebbe presentarsi all’appuntamento con la leggerezza di chi non ha nulla da perdere. Tuttavia, per la Danimarca a Euro 1992 le cose non stavano affatto così. Le polemiche interne avevano avvelenato la vigilia anche di un torneo “calato dal cielo”. Ma per capirne bene le ragioni bisogna tornare indietro di 6 anni.

Al Mondiale in Messico la Danimarca di Sepp Piontek, alla prima partecipazione alla fase finale di un Mondiale, aveva impressionato con un gioco davvero brillante ed elementi di assoluta qualità come Miki Laudrup e Preben Elkjaer-Larsen. Quella di Piontek era una sorta di “gioiosa macchina da guerra” ma anche un piccolo miracolo sportivo, per una ragione ben precisa. I calciatori danesi erano tendenzialmente dei tipi goderecci, poco inclini alla disciplina e alla “vita da atleta professionista” comunemente intesa. Lo stesso Elkjaer, per dirne una, aveva come abitudine quella di fumare una bella sigaretta tra primo e secondo tempo…

Ad ogni modo, dopo gli ottavi in Messico la nazionale biancorossa non riesce più a ripetersi. Prima un ottavo di finale a Euro ’88, quindi la qualificazione clamorosamente la qualificazione al mondiale di Italia’90. Così a Piontek viene dato il benservito e al tedesco subentra Richard Moeller-Nielsen. Quest’ultimo era stato per anni assistente dello stesso Piontek, ma si ritrova una squadra “vecchia” e un rapporto deteriorato con la famiglia più “pesante” del calcio danese: i Laudrup. Proprio per dissidi con il CT, Michael Laudrup aveva lasciato la nazionale e anche con il fratello minore Brian lo aveva seguito, facendo marcia indietro solo una volta arrivato il ripescaggio a sorpresa. In generale, la Danimarca ’92 è una squadra che non appare molto meno forte di quella di 6 anni prima e con pochi talenti in rampa di lancio. Inoltre, è una squadra che fino a pochi giorni prima era letteralmente in vacanza.

Il girone

In un gruppo con Inghilterra, Francia e i padroni di casa della Svezia, il destino dei “Danes” appare ovviamente quello di far mera presenza. La prima partita è uno scialbo 0-0 con l’Inghilterra, un punto guadagnato soprattutto grazie alla vena di Peter Schmeichel tre i pali. Quindi arriva una sconfitta per 1-0 contro i padroni di casa della Svezia. Dopo 2 partite con 1 punto e 0 gol segnati, i danesi sembrano sul punto di tornare a quelle vacanze interrotte.

La speranza di qualificazione alle semifinali è legata all’ultimo match, da vincere contro la Francia del CT Michel Platini. Una nazionale sempre temibile, che aveva tra le sue fila gente come Papin, Cantona, Deschamps, Blanc. La partita vede la Danimarca andare in vantaggio con il legnoso Henrik Larsen, centrocampista scovato chissà dove da Romeo Anconetani per il suo Pisa. Al 60′ pareggia Papin ma, a 12 minuti dalla fine, ecco la rete di Elstrup che elimina i transalpini e qualifica, a sorpresa, la Danimarca.

Semifinale con lesa maestà

In Semifinale a Brian Laudrup e compagni tocca la favoritissima Olanda, campione europeo in carica e ancora con molte chance di fare il bis. La partita è rocambolesca e vede i danesi due volte in vantaggio e sempre raggiunti. Addirittura Larsen realizza una doppietta (con 3 gol il centrocampista del Pisa sarà capocannoniere del torneo), pareggiata prima da Bergkamp e poi da Rijkaard. I supplementari non bastano e così il posto in finale si assegna ai calci di rigore. Un solo errore, ma decisivo, proprio dal giocatore più atteso: Marco Van Basten. Il fuoriclasse del Milan, senza dubbio il più forte giocatore al mondo in quel momento, si fa ipnotizzare da Peter Schmeichel. La Danimarca è in finale. E la firma del portierone non è solo sul rigore, poiché Schmeichel era stato decisivo anche durante i supplementari con un super intervento su Bryan Roy, nella partita che forse ne ha definitivamente lanciato la carriera.

La finale e l’harakiri di Berti

In finale c’è la Germania di Berti Vogts, altra corazzata tra le favoritissime della vigilia. D’altra parte abbiamo per la prima volta le due Germanie unite e quella Ovest era anche campione mondiale uscente, quindi era normale che la squadra fosse accompagnata da notevoli aspettative. Pur senza entusiasmare, la Mannschaft si era fatta strada verso la finale. Il girone li aveva visti esordire con un deludente pareggio contro la CSI, quindi la qualificazione era giunta di fatto con la vittoria sulla non irresistibile Scozia. Il 3-1 patito dall’Olanda costa alla nazionale di Vogts il primo posto, spedendo gli orange a sfidare i danesi, mentre ai teutonici toccano in semifinale i padroni di casa della Svezia. Un gol di Haessler e una doppietta di Riedle valgono il ticket per la finale di quella che sembrava una vittoria annunciata. Invece…

Invece il 5-3-2 di Moeller-Nielsen, apparentemente speculare rispetto a quello di Vogts, si rivela più difensivo, più efficace e meno prevedibile rispetto ai campioni del mondo. Non solo, perché il CT tedesco ci mette del suo lasciando negli spogliatoi Matthias Sammer dopo appena un tempo. L’ex DDR non era ancora arrivato al cambio di ruolo, dal centrocampo alla difesa, che gli avrebbe portato il pallone d’oro 4 anni più tardi. Però il mediano dello Stoccarda, in procinto di trasferirsi all’Inter che lo aveva già acquistato un anno prima, era troppo importante per gli equilibri della Mannschaft. La sua uscita fece ulteriormente spegnere la luce alla squadra, dando fiducia agli avversari che già avevano chiuso il primo tempo in vantaggio, grazie al gol del mediano John Jensen e tanta difesa. Infatti al 78′ arriva il gol della staffa: il 2-0 porta la firma di Kim Vilfort, uno su cui vale la pena spendere due parole.

I protagonisti della Danimarca campione d’Europa

Kim Vilfort “seppellito” dai compagni, dopo il 2-0 siglato alla Germania (Getty Images)

Kim Vilfort

Mezzala con gran fisico e una ottima tecnica di base, dovuta alla gioventù trascorsa a giocare da attaccante, Vilfort è uno degli eroi della Danimarca a Euro 1992. Un eroe però triste, nonostante il trionfo e il gol in finale. La ragione di tale tristezza è l’amaro destino toccato a Kim, che proprio in concomitanza con il campionato europeo vede la figlia di 7 anni Line ricoverata per l’aggravarsi della sua leucemia. Quasi ogni giorno Vilfort si allena e poi vola da Malmoe a Copenhagen per raggiungere la famiglia in ospedale. Proprio la famiglia lo convince sempre a tornare in Svezia per giocare il torneo più importante della carriera. Un torneo conclusosi con il trionfo e un gol proprio di Vilfort in finale. Sportivamente, per Kim sarebbe il momento più felice della carriera. Ma dopo qualche settimana dalla finale di Euro 1992, la piccola Line smette di lottare…

Henrik Larsen segna il primo gol contro l’Olanda (Allsport/Getty Images)

Henrik Larsen

Chiamatelo miracolato, ma anche no. Centrocampista “da legna”, offensivo ma senza particolare talento, Larsen viene ingaggiato da Romeo Anconetani per il suo Pisa. Gioca un anno in Serie A, poi il Pisa retrocede e la società è costretta a cedere uno dei tre stranieri in rosa, perché il limite in Serie B era allora di 2 per squadra. I nerazzurri decidono di tenere Diego Simeone e José Antonio Chamot, e scusate se è poco. Anconetani era infatti un vero prodigio nello scovare talenti in giro per il mondo, ma con Larsen la magia gli riesce soltanto a metà. Dopo Euro 1992, le quotazioni di Larsen schizzano ovviamente alle stelle. Seppure in coabitazione con altri 3 giocatori, Henrik è capocannoniere dell’Europeo con 3 gol e la cosa è più clamorosa di quanto si possa immaginare. Per intenderci meglio, sappiate che il totale di reti segnate da Larsen in nazionale sarà alla fine di 5 gol in 39 presenze. Anconetani ovviamente fiuta l’affare ma per il suo improvvisato gioiello chiede davvero troppo, oltre 16 miliardi di lire. Il risultato è che Larsen trascorre un paio d’anni girovagando in prestito, mentre il Pisa retrocede anche dalla B e dichiara fallimento.

Peter Schmeichel para il rigore di Marco Van Basten (Allsport/Getty Images)

Peter Schmeichel

Forse non il portiere più forte della storia, ma uno dei più forti sì. Nei primi anni ’90, poi, Peter Schmeichel si impone in un palcoscenico denso di grandissimi campioni. Non è un caso che il trionfo a Euro 1992 porti la sua firma per diversi interventi decisivi, tra cui quello su Marco Van Basten nella lotteria dei rigori in semifinale. Il Cigno di Utrecht sarà poi pallone d’oro nello stesso anno, in virtù delle mirabilie mostrate al Milan. In quella stessa edizione Schmeichel finirà al quinto posto, primo della Danimarca campione d’Europa. Ma si sa che il Pallone d’Oro non è un premio che va molto d’accordo con il ruolo di portiere. Per il biondo quello dell’exploit sarebbe stato l’unico con la maglia della nazionale, ma solo il primo di una lunga carriera in cui vincerà moltissimo, con la maglia del Manchester United.

Michael Laudrup, il grande assente e il grande incompiuto

L’ultimo protagonista della Danimarca campione d’Europa nel 1992 è un protagonista mancato. Chiudiamo infatti con Michael Laudrup, uno dei talenti più puri che il calcio abbia mai espresso. Uno del quale Michel Platini parlava come “il più grande giocatore del mondo in allenamento”, e questo già dice molto dei limiti di questo straordinario attaccante. Uno che tecnicamente non aveva da imparare da nessuno, capace di fare cose incredibili con un pallone tra i piedi, eppure privo di quella “fame” che avrebbe potuto moltiplicarne il talento naturale, rendendolo uno dei più forti calciatori della storia.

Miki ha vinto molto, certo, ma avrebbe potuto vincere molto di più e la storia di Euro 1992 è emblematica, in questo senso. Il forte dissidio con il CT Moeller-Nielsen per ragioni tattiche era sfociato in lite dopo una sconfitta proprio durante un match di qualificazione a Euro 1992. Una lite che lo induce ad abbandonare per sempre la nazionale e che lo priverà di un titolo che il suo talento avrebbe senz’altro meritato.

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