Il fenomeno Atalanta è una delle storie più belle degli ultimi anni in Italia. La Dea è stata l’unica rappresentante del calcio italiano nelle Final Eight di Lisbona valide per la Champions League 2019/2020, e quello che può sembrare un miracolo sportivo è in realtà la conseguenza di un progetto solido, che parte da lontano e che sembra destinato ad avere lunga vita.
In Italia, ma un po’ ovunque al giorno d’oggi nel frenetico calcio moderno, tanto ai tifosi quanto agli addetti ai lavori piace riempirsi la bocca di parole come “programmazione” e soprattutto “progetto”, termini che inducono a pensare a percorsi di crescita studiati nel dettaglio e non soggetti a improvvisi sbalzi di umore e soprattutto slegati dai risultati a breve/medio termine. La verità è che molto spesso questi tanto sbandierati progetti finiscono per naufragare alle prime sconfitte e alle conseguenti incertezze per il futuro, finendo per trasformarsi in un “vivere alla giornata” in cerca di un’intuizione fortunata che nel caos raramente finisce per verificarsi.
Atalanta-Gasperini, un binomio vincente
Quello che è successo a decine di club più o meno gloriosi sarebbe potuto succedere anche all’Atalanta all’alba della stagione 2016/2017, la prima con Gian Piero Gasperini in panchina: rinato alla guida di Palermo e Genoa dopo la breve e ingloriosa parentesi all’Inter, il tecnico piemontese guidava una squadra che faticava tremendamente ad apprendere la sua idea di calcio. I risultati, del resto, parlavano chiaro: dopo cinque giornate la Dea era penultima in classifica con una sola vittoria a fronte di ben quattro sconfitte, e sui giornali non si parlava altro che dei suoi principi tattici troppo ambiziosi e di un suo possibile esonero in tempi brevi.
Proprio nel momento di maggiore crisi, però, Gasperini incassa la fiducia della società e la stagione dell’Atalanta svolta. Dalla 6ª alla 14ª giornata la Dea colleziona un pari e ben otto vittorie (sei di queste consecutive!) e comincia la risalita che la porterà a concludere la stagione addirittura al 4° posto: è la prima volta nella storia della Serie A che una squadra lombarda riesce a mettersi alle spalle tanto il Milan quanto l’Inter e vale ai bergamaschi il ritorno in Europa a distanza di ben 26 anni dall’ultima partecipazione datata 1990/1991.
Una crescita esponenziale
Parliamo dell’Europa League – la Champions che prevede un posto ai gironi per le prime quattro della Serie A deve ancora essere riformata – ma è comunque un traguardo importantissimo. Soprattutto non si tratta di un exploit isolato, come tanti credono quando in estate, immancabilmente, arrivano le consuete cessioni di alcuni gioielli: nelle stagioni successive infatti il percorso di crescita dei bergamaschi continuerà ad essere esponenziale, fino alla prima clamorosa partecipazione in Champions League – la scorsa stagione, con conseguente accesso alle Final Eight di Lisbona – che sarà bissata il prossimo anno grazie al secondo 3° posto consecutivo.
Da ormai 4 stagioni al top nel calcio italiano, capace in quella in corso di rientrare tra i primi 8 club d’Europa, l’Atalanta non può essere considerata né un miracolo né un exploit, ma uno di quei rari casi di vera e propria programmazione che ha portato a una contemporanea crescita dal punto di vista tecnico ed economico. Certo la Dea capace di sconvolgere le quote dei siti di scommesse sportive ha alle spalle una proprietà solidissima, ma come abbiamo riassunto con la nostra puntuale infografica è oggi capace di correre, se non addirittura volare, da sola.
Fenomeno Atalanta, dalla provincia alle Final Eight di Champions
Oggi l’Atalanta deve senza dubbio essere inserita tra le grandi del firmamento calcistico italiano: nelle ultime 4 stagioni, cioè da quando è arrivato Gian Piero Gasperini nell’estate del 2016, risulta la 5ª squadra in Serie A per punti conquistati, 279, gli stessi della Lazio e alle spalle solo di Juventus, Napoli, Roma e Inter. Nello stesso periodo gli orobici possono vantare il 4° migliore attacco, 294 reti messe a segno in 152 partite con la media di 1,93 gol realizzati ogni 90 minuti di gioco.
Una crescita testimoniata anche dai risultati sul campo: 3° posto nelle stagioni 2018/2019 e 2019/2020, i 16esimi di finale di Europa League nel 2017/2018 e le Final Eight di Champions League nella stagione in corso sono infatti un continuo crescendo di traguardi e di valore – basti pensare che a marzo il CIES, più che autorevole sito di statistiche legate al calcio, in un articolo sulle squadre più preziose d’Europa posizionava l’Atalanta all’8° posto in Italia e al 35° a livello continentale – che inseriscono la Dea tra le big con merito. Un obiettivo raggiunto attraverso il duro lavoro, una seria programmazione e alcuni punti fermi.
Il vivaio, da sempre un fiore all’occhiello degli orobici
L’Atalanta da sempre investe nel vivaio: tra Serie A e Serie B sono numerosissimi i calciatori usciti dal fertile vivaio bergamasco: ancora uno studio del CIES del 2015 sottolineava come la Dea occupasse il 18° posto nella classifica del numero di giocatori lanciati in massima serie tra i top 5 campionati d’Europa. Nato alla fine degli anni ’40 e costantemente migliorato nel tempo, il settore giovanile ha portato all’Atalanta la bellezza di 57 trofei di categoria tra cui spiccano 2 Tornei di Viareggio e 4 Campionati Primavera che comprendono le ultime due edizioni.
Elencare i tanti talenti esplosi a Bergamo è quasi impossibile, basti però citare nomi come Marino Perani, Gaetano Scirea e Roberto Donadoni e poi ancora i fratelli Zenoni, Alessio Tacchinardi, Domenico Morfeo, Riccardo Montolivo, Giampaolo Pazzini, Simone Zaza e Giacomo Bonaventura per arrivare infine a Alessandro Bastoni e Franck Kessié, punti fermi di Inter e Milan, la stellina del Bologna Musa Barrow e l’ultimo costosissimo colpo di mercato della Juventus Dejan Kulusevski.
Antonio Percassi, l’ex calciatore diventato patron
Tra i tanti giocatori emersi nel settore giovanile bergamasco figura anche Antonio Percassi, roccioso difensore che non lascerà il segno come tanti altri talenti ma che comunque sarà capace di mettere insieme oltre 100 presenze con la maglia nerazzurra prima di lasciare il calcio a soli 25 anni per dedicarsi all’imprenditoria. Partito dal settore immobiliare, si sposta poi nel settore del vestiario e da lì sarà capace di costruire un vero e proprio impero che oggi gli permette di occupare il 36° posto tra gli uomini più ricchi d’Italia nell’annuale classifica stilata da Forbes.
Il gruppo Percassi fa capo alla holding Odissea srl, che si dirama in vari settori di investimento per un volume d’affari complessivo che nel dicembre 2019 Calcio & Finanza stimava in circa 550 milioni di euro. Abbiamo così cosmetica (Kiko su tutti, ma anche Womo, Bullfrog e Madina), food & beverage che comprende tra le altre la distribuzione di Starbucks e Wamagama in Italia, il franchising di marchi di spessore come Lego, Nike, Victoria’s Secret e Gucci e infine i centri commerciali presenti un po’ in tutta la penisola, da Bergamo alla Sicilia passando per Piemonte, Toscana e Lazio.
L’Atalanta fa parte della holding, ma non può certo essere considerata semplicemente un asset per Percassi. L’amore per la Dea da parte del presidente – lo è dal 2010, dopo una parentesi che già lo aveva visto al comando dal 1990 al 1994 – è puro e genuino, ma non per questo cieco: negli ultimi anni infatti il club ha saputo abbinare agli ottimi risultati sul campo una graduale crescita economica che oggi gli permette di camminare sulle proprie gambe.
Fatturato e utili
Grazie a una sapiente politica di valorizzazione del vivaio e di player trading, che pure ha portato la squadra non solo a non indebolirsi ma addirittura a migliorare di anno in anno, l’Atalanta è passata da un fatturato di 74,3 milioni di euro con una perdita di 1,9 milioni del 2015 – i dati sono forniti dal sito specializzato Swiss Ramble – all’utile di 0,25 milioni del 2016. Cifre che sono quasi raddoppiate nelle stagioni successive fino ai 188,6 milioni di euro di fatturato registrati nel 2019.
Oltre alla compravendita dei calciatori bisogna considerare nei bilanci degli ultimi anni la costante partecipazione alle coppe europee, le maggiori entrate dal botteghino, una crescita esponenziale dei diritti televisivi e del merchandising e l’aumento di importanza del marchio, tutte conseguenze degli ottimi risultati ottenuti sul campo.
Fenomeno Atalanta: la Dea oggi è una big?
Arrivato nell’estate del 2016, Gian Piero Gasperini ha ereditato una squadra che nelle ultime due stagioni aveva prima sfiorato la retrocessione (17° posto) e poi registrato un anonimo 13° posto con Edy Reja. La crescita sul campo è innegabile: l’Atalanta si è piazzata prima al 4° posto, poi al 7° – ma con il contemporaneo impegno in Europa a distanza di moltissimi anni – e infine per due volte consecutive al 3° in Serie A, miglior piazzamento di sempre in una storia che comincia nel lontano 1907.
Nel campionato appena concluso, oltre a stupire tutti con l’accesso alle Final Eight di Lisbona valide per la Champions League, la Dea ha registrato il record per numero di vittorie, punti conquistati e gol segnati in un solo torneo e prima dei quati contro il PSG veniva inserita al 6° posto su 8 tra i possibili vincitori della Champions, con una quota pari a 12,00. Si tratta della stesso valore che i bookmaker assegnano agli orobici anche nelle quote per lo Scudetto 2020/2021, un attestato di stima che non può che significare una cosa: pur se con una filosofia decisamente diversa da quella dei grandi club metropolitani, l’Atalanta si prepara ancora una volta a sfidare le big.